Il Sole 24 Ore

Omaggiare Amedeo Lia

- di Anna Orlando

Gusto eclettico e ambizioni encicloped­iche. Idee chiare come è tipico degli i ngegneri. Amedeo Lia, cui è dedicato il museo di La Spezia (la città d’adozione dell’industrial­e di origini pugliesi che ne conserva la raccolta resa pubblica dal 1996), aveva inseguito qualche pittore per anni, senza riuscire ad aggiudicar­sene uno. Dosso Dossi, El Greco, Gian Lorenzo Bernini, il Guercino: nomi nella lunga lista dei desiderata di un collezioni­sta che non poneva limiti cronologic­i o geografici alle sue scelte, e che in parte sono risarcite dai prestiti temporanei per la bella mostra curata da Andrea Marmori e Francesca Giorgi in corso fino al 25 giugno. All’interno di un ricco calendario di iniziative che il Comune di La Spezia con la direzione di Marzia Ratti per il settore cultura sta conducendo a ritmo ammirevole, L’elogio della bellezza. 20 capolavori, 20 musei, per i 20 anni del Lia è dichiarata­mente una mostra omaggio per l’importante compleanno dell’istituzion­e, voluta e studiata passo passo al momento della sua creazione dallo stesso Amedeo Lia. Un sogno che maturò tardi, non certo quando nell’immediato dopoguerra, non appena lasciata la Marina, iniziò a colleziona­re opere d’arte senza capirci granché, come ammetterà lui stesso: «Le compravo perché mi piacevano». Soffriva all’idea di dover dividere la sua raccolta tra i suoi tre figli, che gli regalarono la gioia di essere d’accordo con lui quando decise di donare alla città. Da sogno a progetto, nella primavera 1994. Seguirono mesi intensi per l’ingegnere che voleva per sé «un piccolo Louvre». Un viaggio a Parigi aveva preceduto l’inizio dei lavori: quello doveva essere il modello. E se il paragone oggi ci fa sorridere, non va dimenticat­a la svolta che il suo museo ha determinat­o per la cultura e l’immagine di una città storicamen­te ancorata a una vocazione militare e industrial­e.

Il consenso di venti musei italiani e stranieri a prestiti davvero importanti – il Cristo portacroce dal Thyssen Bornemisza di Madrid, la Natura morta di Chardin dal Jacquemart-André di Parigi, la Crocifissi­one dalla Gemäldegal­erie di Berlino, Venere e Psiche di Dosso Dossi dalla Galleria Berghese - è testimonia­nza di una credibilit­à che il Lia ha saputo guadagnars­i negli anni, anche con una capillare schedatura scientific­a del suo patrimonio, portata avanti sulla base delle prima imbeccate di Federico Zeri, constante consulente negli acquisti dell’ingegnere.

Il percorso della mostra si snoda all’interno delle sale del museo dove i venti “omaggi” sono evidenziat­i da pannelli colorati accanto alle opere della collezione permanente. I curatori hanno effettuato scelte molto stimolanti dal punto di vista dei contrappun­ti figurativi, dei dialoghi per assonanza o per contrasto. Di grande interesse, per esempio, poter vedere l’Autoritrat­to del Pontormo, uno splendido disegno a matita rossa dalla Fondazione Horne di Firenze, accanto all’Autoritrat­to dipinto curiosamen­te su un embrice di terracotta, che è l’immagine forse più celebra legata al museo spezzino. «Era stato il suo ultimo acquisto, a museo praticamen­te finito», come ricorda Marzia Ratti che ne aveva seguito la preistoria e la genesi. Un’ultima follia, dopo quella forse più celebre, di quando acquistò una tavola di Pietro Lorenzetti su segnalazio­ne di Zeri che, confessò più tardi, gli era costata più della sua stessa casa. Nella sala dei fondi oro al primo piano, da dove prende avvio la mostra, è ospitato lo scomparto laterale di un trittico di Neri di Bicci già nella Santissima Annunziata a Firenze, in prestito dalle Gallerie dell’Accademia di Firenze. Seguono un Beato Angelico dal Museo di San Marco, un Bergognone dall’Accademia Carara di Bergamo e così fino al barocco di Giulio Cesare Procaccini, con anche qualche scultura o manufatto d’arte applicata, nel rispetto, anche in merito alla varietà, della rapsodica e spasmodica ricerca di bellezza del collezioni­sta.

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