Un inutile adesso
Una stanza piena di libri e con i muri coperti di graffiti, a formare una sorta di racconto le cui pagine sembra siano emerse disordinate dal passato, smarrendosi nel presente. A un tratto, questo appare agli occhi stupiti di Alessandro ( Andrea Carpenzano), uno dei due protagonisti di
Tutto quello che vuoi ( Italia, 2017, 106’). L’altro è Giorgio, un poeta di ottantacinque anni ( Giuliano Montaldo, bravissimo). È sua quella stanza, sua la scrivania su cui c’è una macchina per scrivere che non usa da quando la malattia gli ha minato la memoria, mescolandogli e confondendogli i ricordi.
A vent’anni, Alessandro non lavora e non studia. Tra una sigaretta e una birra, in attesa di niente, passa i suoi giorni al bar con tre amici ( Arturo Bruni, Emanuele Propizio e Riccardo Vitiello). Il padre ( Antonio Gerardi) lo ha però convinto, anzi lo ha costretto a impiegare qualche ora del suo tempo facendo il badante. Ogni pomeriggio, dunque, accompagna Giorgio per le strade e i parchi di Roma. Per questo frequenta la sua bella casa borghese e per questo scopre la stanza in cui, graffite sui muri, ci sono migliaia di parole, le ultime che un vecchio poeta è riuscito a scrivere, e le prime che chiamino la sua attenzione.
Lo si potrebbe raccontare, il bel film scritto e diretto da Francesco Bruni, come la storia di un analfabeta delle emozioni e dei sentimenti che, lentamente e a fatica, arriva a scoprire un mondo insospettato, fatto di amori, amicizie, scelte, speranze, impegno. Sarà una scoperta, la sua, fatta con Giorgio, nel tentativo di decifrare i suoi graffiti.
Alessandro non è. Questo si può dire di lui, come dei compagni. Non è a favore di quello che gli vive intorno e non è contro. Non è un ribelle e non è un indifferente. Non ha un lavoro e non soffre di non averlo. Non è intelligente e non è stupido. Non è buono e non è cattivo. Non è, semplicemente. E non lo sa. Gliene mancano le parole. Come quello dei suoi compagni, il suo non è un discorso, ma un gergo. Afasico e ripetitivo, non sa pensare il proprio passato e ancora meno immaginare il proprio futuro. Per lui tutto si riduce a un inutile adesso.
In questo deserto morale, Giorgio appare come uno straniero. Non impreca, parla. Non insulta, argomenta. Usa le parole, le moltissime parole di cui è ricco, e con esse vive ed esprime emozioni, sentimenti, opinioni. Ha avuto una moglie e l’ha amata. Prima di lei e dopo di
lei, ha avuto un altro amore, forse il suo più grande, e l’ha raccontato come poeta. La vita è una cosa, gli fa dire la sceneggiatura, la poesia un’altra. E non intende che questa abbia meno realtà di quella. La loro “stoffa” è simile, intessuta di parole. Niente potrebbe suonare più incomprensibile ad Alessandro, se ora non stesse cambiando.
Nei graffiti di Giorgio qualcosa lo incuriosisce. Si tratta di parole che rimandano a un ricordo, per quanto solo accennato, quasi indecifrabile. Si tratta di nomi di antichi amici, che la malattia gli ha riportato alla memoria, ancora vividi e vivi. E si tratta di un luogo, di un paesaggio tra i monti. Lì ha nascosto oggetti di valore. Così immagina Alessandro. Come potrà scoprirne il segreto, se non immergendosi nelle parole di vecchi giornali e di vecchi libri? Come potrà farlo, se non liberandosi dalla miseria del gergo e imparando la ricchezza del discorso?
Ora il film di Bruni si trasforma, si mette in movimento, al pari della consapevolezza di Alessandro e dei suoi tre amici. Tutti insieme, i quattro ragazzi e il poeta vanno alla ricerca di quel paesaggio tra i monti: il vecchio tornando il quindicenne che non è più, ma che ancora si porta dentro, i giovani nella speranza di trovare un tesoro. Per loro fortuna, scopriranno che anche quel tesoro è intessuto di parole. Sono parole di settant’anni prima, che tornano alla luce di nuovo alte e giovani. Parlano di emozioni, di scelte, di impegno, di libertà, di speranza. Ma sono, prima di tutto, parole capaci di fare dell’adesso un presente, e di legarlo al futuro attraverso il passato. %%%%%