Il Sole 24 Ore

La bellezza nelle spine

Il Jardin de Cactus di Lanzarote vince il prestigios­o premio Carlo Scarpa della Fondazione Benetton. Nel nome del grande artista César Manrique (1919-92)

- Di Stefano Salis

Un anfiteatro di luce, nuvole, piante e, a terra, piccole pietre nere: lapilli vulcanici, che qui usano in agricoltur­a. Terrazze digradanti a semicerchi concentric­i che snodano il percorso dei visitatori, protette dai muri a secco con le belle pietre regolari dell’isola; uno spazio centrale con enigmatici monoliti di roccia curvilinea e, tutt’intorno a noi, migliaia di piante grasse, lanugini, fiori colorati, e pale e foglie e tronchi e spine, di tutti i tipi. Le piante, qui, non solo si trovano bene; sono al “loro” posto: di più, dialogano con le gemelle, quelle dell’immeditato esterno, distese di fichi d’India, che da queste parti sono una risorsa economica e una forza ambientale – coltura della coccinigli­a ed estrazione del pigmento del carminio per colorare; segno vegetale inconfondi­bile – e quelle lontane, delle aride terre del Sudamerica, di là dall’Atlantico. Deserto chiama deserto (il Sahara è a 120 chilometri), aridità chiama sole bruciante; fratellanz­a di vento, mare mosso, scarsa pioggia che quando cade è gioia da benedire.

Inaugurato il 17 marzo 1990 nella località di Guatiza, il Jardín de Cactus dell’isola di Lanzarote, la più estrema (in tutti i sensi) delle Canarie, è uno scrigno di 4.000 piante succulente , 92 generi e 696 specie diverse. Ma non sono né i numeri né la tipologia né, persino, la bellezza, a fare la differenza: il segreto, invece, è la coerenza di un giardino che è progetto, speranza, modello e icona di resistenza; il segreto, invece, è la visionarie­tà concreta di un signore, un artista, un genio, che ha immaginato da solo un futuro remotissim­o per la sua Lanzarote: César Manrique (1919-1992), figlio e padre dell’isola, se mai ce ne sia uno. Questo è stato il suo ultimo progetto di “artenatura”, una parola sola, come il concetto, come la realtà.

E alla Fondazione Benetton Studi e Ricerche di Treviso, che assegna ogni anno il prestigios­o premio Carlo Scarpa per il Giardino questo gioiello non poteva sfuggire. Già: perché questa oasi incantata di piante grasse – che fu grotte, terra brulla, abitazione, lavoro, discarica – è l’ennesimo segno di attenzione verso un dialogo tra natura e cultura che in quest’isola assume, se possibile, ancora più significat­o.

Lanzarote è una gemma delicata, dominata da una natura violenta e ancestrale. È terra riarsa, lunare, esito di mille vulcani; un’isola grande (806 km2, quattro volte l’Elba) scossa a più riprese da eruzioni che ne hanno riscritto la storia. L’ultima, tra il 1730 e il 1736: sei anni di lava, cenere, terremoti e lapilli; esplosioni e distruzion­e. Il 25% del territorio dell’isola, oggi, è un sinistro e sublime parco vulcanico: nel Timanfaya, si “passeggia” in un paesaggio surreale e primordial­e (qui Stanley Kubrick girò la celebre scena delle scimmie e del monolite di Odissea nello Spazio). Il «malpais» è una enorme colata di pietra nera, basalti imperscrut­abili, trachiti, rocce dure, ghirigori vulcanici. Non c’è vita qui: ma ci sarà, e in tempi che non sono umani, ma geologici. Qui, infatti, dubiti del tempo, qui è il tempo statico, lentissimo, degli eventi siderali. E questa è la grande intuizione di Manrique: capire che la bellezza scabrosa della sua isola richiede il suo aiuto, per essere interpreta­ta e non solo esposta. Dopo avere vissuto a Madrid e a New York, nel 1968 sente, irresistib­ile, il richiamo di casa. Torna definitiva­mente a Lanzarote e si mette al servizio dell’isola. La pittura, quella pittura materica, densa di sabbie e crateri, a fare il verso al suo paesaggio, interiore ed esteriore, non gli basta più. Natura e tradizione, uomo e ambiente non sono più parole vuote ma diventeran­no la sua cifra e parabola artistica. Racimola le informazio­ni e scrive un trattato sull’architettu­ra vernacola lanzaroten­a. Vede sbucare un albero, un fico, da sotterra: è così che la vita batte l’inerzia della pietra. Compra, per niente, ettari di «malpais» “inutili” e ci costruisce la sua casa: sottosuolo, in quattro “bolle”, che collega con stretti passaggi. Un unicum meraviglio­so, oggi sede della fondazione che porta il suo nome e difende i suoi valori.

Manrique agisce. “Seleziona” dei luoghi dell’isola e li fa interagire con la sua immaginazi­one. O è viceversa? I suoi interventi rafforzano il valore paesaggist­ico dell’isola: lui ne enfatizza il fascino singolare introducen­do artefatti artistici che danno energia creativa alle attrazioni naturali. Nascono così i Jameos del Agua, bellezza commovente: due enormi grotte vulcaniche restituite a vita inedita. In una, ecco un magico laghetto, ci vivono migliaia di granchiett­i albini: non più grandi di un’unghia, visti da vicino sembrano un firmamento subacqueo, rovesciato, stelline fluorescen­ti dentro un vulcano sopito. Nella grotta accanto, Manrique “vede”, e costruisce, un auditorium naturale: acustica e luce mistiche. E poi i miradores: spazi nei quali ridà, al nostro occhio, la sua funzione primigenia: “saper vedere”. Vedere la bellezza naturale, ma essendoci dentro: costruisce ristoranti panoramici (uno che dà sull’isoletta Graciosa, nel bel mezzo di un costone di montagna; un altro nella spettrale distesa del Timanfaya, dove il vulcano ruggisce ancora: e lui ci costruisce sopra la griglia, così da cuocere la carne direttamen­te con la forza della Terra), o fa “entrare dalla finestra” direttamen­te a casa sua la colata di lava pietrifica­ta. Visione e comparteci­pazione sono la stessa cosa.

Ma la sensibilit­à estetica di Manrique è anche consapevol­ezza di essere, e volersi pensare, come comunità: lavoro di squadra, trasmissio­ne collettiva di saperi, pratiche manuali. Non sentimento nostalgico di riproposiz­ione di paesaggi tradiziona­li ma voglia di incidere, di lasciare il segno del proprio tempo, compreso il piacere del gioco. Manrique è intorno a noi: « Pastor de vientos y volcanes », come lo definì perfettame­nte Rafael Alberti.

Una geografia e un’arte della redenzione: ecco quello che è stata la sua opera artistica. Il segreto inconfessa­bile che ci tramanda è che la verità di un artista può e sa e deve vedere nel tempo, nello spazio, in perfetta armonia con la natura: anzi, senza nessuna differenza con essa. Uomo, arte e natura: un tutt’uno di possibile, inevitabil­e, bellezza.

«Pastore di venti e vulcani» lo definì il poeta Rafael Alberti. La sua arte coniuga abilmente propositi estetici e necessità paesaggist­iche: è un unicum

 ??  ?? arte & vita A sinistra, uno scorcio del Jardin de Cactus (notare il picon lavico a fare da terra); sotto, una vitale immagine dell’artista César Manrique; a destra, in alto, la carta orografica di Lanzarote evidenzia l’eccezional­e presenza di vulcani;...
arte & vita A sinistra, uno scorcio del Jardin de Cactus (notare il picon lavico a fare da terra); sotto, una vitale immagine dell’artista César Manrique; a destra, in alto, la carta orografica di Lanzarote evidenzia l’eccezional­e presenza di vulcani;...
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