Se i rifiuti producono ricchezza
Mezzo milione di discariche che possono trasformarsi in miniere da cui estrarre metalli. Ma anche in fonti di energia (e posti di lavoro)
Il primo segno sono i gabbiani. Con la loro presenza indicano già da lontano che lì sotto c’è una discarica. In Europa sono almeno mezzo milione i siti frequentati dai gabbiani, dove la società dei consumi cerca di nascondere la polvere sotto il tappeto. Non tutte sono gironi danteschi come Malagrotta a Roma o Bellolampo a Palermo, ma nove su dieci sono nate ben prima della direttiva europea del ’99, quindi senza i criteri di protezione ambientale che oggi regolano la materia. Bombe a orologeria per le emissioni inquinanti e le possibili infiltrazioni nelle falde acquifere. Da questi siti, che oggi occupano in Europa almeno 6mila chilometri quadrati di territorio off-limits con 5 miliardi di tonnellate di rifiuti, si potrebbe estrarre il 5% del fabbisogno annuale di materiali del continente per un periodo di 25 anni, risparmiando 7 milioni di tonnellate di petrolio e coprendo il 3% degli obiettivi europei nelle fonti rinnovabili al 2020, in base alle stime di Eurelco, il Consorzio europeo per lo sfruttamento minerario delle discariche, il cosiddetto landfill mining.
«In Europa si parla molto di economia circolare ma si trascura il fatto che, oltre al riuso e riciclo dei flussi attuali di rifiuti urbani e industriali, esiste un vasto potenziale di materiali non sfruttati in questo mezzo milione di discariche, storiche o ancora in uso, molte delle quali collocate in aree urbane o semi-urbane, dove pongono un serio rischio ambientale», sostiene Peter Jones, docente di Riciclo dei metalli all’Università di Lovanio e coordinatore del consorzio, che raccoglie 58 partner da 13 Paesi europei, compresa l’Italia con l’Università di Padova, dove insegna Raffaello Cossu, il più quotato esperto italiano in materia. La direttiva del ’99 impone una serie di misure preventive per evitare la contaminazione del territorio a causa degli inquinanti seppelliti nelle discariche, tanto che Eurelco stima un costo complessivo di mille miliardi di euro solo per bonificare quelle più a rischio. Un peso che in Italia si comincia già a sentire, e non solo nelle strade di Roma dove si accumulano i rifiuti tra mille polemiche: ormai sfiora i 230 milioni il bilancio delle multe pagate a Bruxelles in procedure d’infrazione. E la normativa promette di diventare ancora più stringente dopo il passaggio all’Europarlamento della proposta di modifica, che punta a ridurre i rifiuti smaltiti in discarica al 5% della produzione complessiva di qui al 2030 e che per la prima volta appoggia il landfill mining. «Trasformare le discariche in miniere potrebbe far risparmiare all’Europa i miliardi dovuti per le bonifiche ambientali, oltre a farci guadagnare una nuova preziosa fonte di approvvigionamento di materiali», considera Jones, che stima una creazione di almeno 800mila posti di lavoro nello sfruttamento delle miniere del futuro.
Per ora manca la cornice normativa, ma le prime risposte positive da Bruxelles stanno cominciando ad arrivare, con una serie di finanziamenti a diversi progetti importanti di sviluppo del settore, primo fra tutti lo sfruttamento in questa chiave della discarica Remo del gruppo Machiels, la più grande del Belgio, che punta a diventare il primo progetto commerciale di landfill mining del mondo, con un investimento previsto di 230 milioni. Il progetto, chiamato Closing the Circle, potrebbe essere il banco di prova per un’attività complessa e ancora poco praticata, ma di cui si parla fin dagli anni ’50, quando il primo intervento fu tentato in una discarica di Tel Aviv, in Israele, per recuperare materiali fertilizzanti. Un esempio rimasto unico per decenni, finché la necessità di spazio favorì nuove applicazioni di questo sistema di bonifica, nell’86 in Florida e poi nel ’93 in Germania, nella discarica di Burghof, prima di una serie di progetti pilota, sviluppati nell’intento di realizzare nuove aree di smaltimento tecnologicamente più avanzate. L’applicazione su vasta scala a fini estrattivi non è ancora praticata, ma il costo crescente delle materie prime e lo sforzo di transizione verso un’economia circolare sta facendo diventare i rifiuti preziosi.
Nella discarica di Remo si stima che il 40% del materiale sepolto sia riutilizzabile. Sei milioni di tonnellate di vetro, ceramica, metalli ferrosi e non ferrosi, plastica, carta, legno e tessuti sono sepolti, in attesa di resurrezione. Il resto andrà a generare energia, ma in maniera più efficiente della classica termovalorizzazione. Qui la valorizzazione energetica sarà affidata a un gassificatore al plasma della britannica Advanced Plasma Power, che offre una soluzione più pulita ed efficiente. Il loro impianto pilota di Swindon sta sperimentando un processo che potrebbe trasformare discariche e inceneritori in memorie di un passato sprecone. L’impianto separa i rifiuti riciclabili, poi macina quello che resta e lo asciuga in un forno. I pellet disidratati passano nel gassificatore a letto fluido, che utilizza una torcia al plasma per decomporre le molecole organiche trasformandole in un gas di sintesi contenente soprattutto idrogeno, mentre i materiali inorganici si trasformano in una roccia vetrosa e inerte simile alla lava chiamata Plasmarok, un materiale già approvato per l’edilizia. L’impianto di Remo dovrebbe generare abbastanza energia da soddisfare i consumi di 200mila famiglie per vent’anni. E alla fine sotto il tappeto non resterà più niente.