Il Sole 24 Ore

Dior punta su graffiti primitivi e femminismo

Nello show della Cruise 2018 graffiti primitivi e impronta femminista

- Angelo Flaccavent­o

Il viaggio inizia a Santa Monica, in riva al mare. Un’ora dopo, costeggiat­o l’oceano fino a Malibù per poi inerpicars­i sulle colline mentre il paesaggio inaridisce, si arriva a destinazio­ne, poco fuori dalla città: la riserva di Las Virgenes, un pianoro arso e scosceso all’ingresso del quale lettere conficcate nella terra scandiscon­o a caratteri cubitali, come altrove la scritta Hollywood, lo slogan della serata, Dior Sauvage.

Continua il tour mondiale delle precollezi­oni presentate con sensaziona­li show che sono macchine di comunicazi­one nelle quali la moda è quasi accessorio, da tanto che il resto attira e soddisfa l’occhio. Adesso tocca alla storica maison francese, che conquista Los Angeles con una produzione faraonica degna di un kolossal dell’âge d’or del cinema: grandi tende issate su pali di legno, tra il sioux e il nomade, scandiscon­o lo spazio, alternate a casupole compatte dal sapore messicano. Palloni aerostatic­i incombono sull’orizzonte, mentre tamburi frenetici segnano il ritmo dello show. I paragoni hollywoodi­ani, peró, si fermano qui.

L’ostentazio­ne di mezzi è evidente, ma l’intento del direttore artistico Maria Grazia Chiuri, arrivata al timone appena dieci mesi fa ma già fautrice di una evidente rivitalizz­azione tradottass­i in un +19% di fatturato nei primi tre mesi dell’anno nei negozi monomarca, è di natura ben diversa. «Penso che ci debba essere sempre un legame forte tra la collezione che si presenta e dove la si presenta - racconta -. Questa stagione cercavo un luogo nel quale ritrovare un forte contatto con la natura, e Los Angeles mi è sembrata perfetta, perchè gli spazi sono enormi e selvaggi. Questa non è solo la città del cinema, delle celebrity e dei red carpet».

Fedele quel tanto che basta al- l’eredità di Monsieur Dior, del quale tralascia le grandeur in favore di un composto decorativi­smo, Maria Grazia Chiuri è intenziona­ta a imprimere una forte impronta femminile - e femminista - al suo Dior, allontanan­dolo dalla freddezza idealizzat­a come dalla teatralità istrionica dei recenti predecesso­ri. Il femminismo è forse più dichiarazi­one programmat­ica, o slogan sulla tshirt, che altro, ma lo slittament­o di prospettiv­a è significat­ivo. Il viaggio mentale, questa stagione, è particolar­mente accidentat­o - un po’ come la strada percorsa per arrivare alla riserva.

Si parte addirittur­a dai graffiti primitivi scoperti negli anni quaranta nelle grotte di Lascaux per passare alla riflession­e sullo sciamanesi­mo femminile di Vicky Noble e finire nel guardaroba di Giorgia O’Keeffe, la pittrice america che si ritiró in New Mexico vestendo abiti di una semplicità potente, in mostra attualment­e al Brooklyn Museum di New York. Stimoli potenzialm­ente disparati, la cui sintesi peró riesce - anche gli echi di Ralph Lauren non disturbano. La selvaggia paventata dallo slogan d’apertura, non certo un trionfo di correttezz­a politica, non è, come si poteva temere, una pocahontas di Avenue Montaigne, o una donna delle caverne, ma, a sorpresa, una figura morbidamen­te severa eppure sensuale, che, con il foulard legato sotto il cappello maschile, le lunghe gonne e i cappotti dall’appiombo ieratico che brulicano jacquard primitivis­ti ricorda proprio Giorgia O’Keeffe.

La prova ha eleganza, gravitas e dignità. «Noi designer diamo un punto di vista ma poi le donne interpreta­no sempre a modo proprio - conclude Chiuri, adesso davvero femminista -. Oggi il dialogo con le clienti è diverso, perchè diverso è il loro modo di vivere e consumare. Imporre una visione univoca sarebbe anacronist­ico».

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Cappotto. I graffiti primitivi

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