Ma per una vera svolta meglio tagliare il cuneo
Il nostro Paese attraversa un momento delicato, stretto fra una perdurante fase d’instabilità politica, i vincoli della finanza pubblica e una forte insofferenza dei cittadini nei confronti di qualsiasi ulteriore sacrificio richiesto dalle istituzioni. Sono visibili i segni della lunga crisi economica planetaria che in Italia, più fortemente che altrove, ha colpito l’occupazione, la produzione interna e soprattutto i redditi delle famiglie. La sola via d’uscita da questa difficile situazione è quella di creare le condizioni per ricominciare a crescere.
È forse anche per questo che il tema degli effetti dell’imposizione sull’andamento dell’economia è, negli ultimi tempi, al centro di animate discussioni nel mondo politico ed economico, in stretta connessione con la ricerca della strada migliore per far ripartire la crescita economica. Si è ormai infatti consolidata la convinzione che i diversi strumenti di politica fiscale possano fortemente influenzare le variabili chiave del tasso di sviluppo. Ridurre la pressione fiscale può aiutare senz’altro a raggiungere questo obiettivo e, pertanto, l’introduzione di una flat tax, un’unica aliquota del 15% per Irpef e Ires, da questo punto di vista, avrebbe un impatto decisamente significativo. Anche la semplificazione attraverso una sola deduzione di importo prestabilito, graduata sul reddito, porterebbe un beneficio notevole sulla complessità degli adempimenti legati alla dichiarazione, disboscando finalmente la giungla delle oltre 600 agevolazioni oggi in vigore.
L’analisi di questa prospettiva va però inserita nell’attuale scenario di debolezza delle nostre finanze in cui, già con le odierne entrate tributarie e con un pareggio di bilancio costituzionalmente previsto, si fa fatica a negoziare con Bruxelles un contenuto disavanzo e non si riescono a trovare le risorse per ridurre, o almeno stabilizzare, l’enorme peso del debito pubblico, che veleggia ormai sopra il 132% del Pil. Un debito che andrà finanziato a tassi d’interesse crescenti, in un contesto di mercato in cui il supporto della Bce e del quantitative easing andrà a ridursi sensibilmente.
Sono quindi impensabili riduzioni del gettito che nelle previsioni più ottimistiche fra Irpef e Ires vengono calcolate sopra i 50 miliardi di euro all’anno. Appaiono, peraltro, molto opinabili gli effetti di recupero dell’imponibile connesso all’abbattimento delle aliquote e quantomeno incerte le altre entrate straordinarie legate al recupero dell’evasione e all’incremento dei consumi.
Forse la direzione giusta può essere, invece, quella di un alleggerimento più graduale della pressione fiscale sulle famiglie, concentrando tutte le risorse disponibili sulla riduzione dell’imposizione su lavoro e imprese, con un taglio netto del cuneo fiscale. Abbattere sensibilmente il costo del lavoro, unitamente alla riduzione dell’Ires già attuata, avrebbe un impatto significativo sulla produttività e sulla competitività delle nostre imprese e si rivelerebbe un importante acceleratore per l’occupazione. È solo avendo una prospettiva di vita con un reddito e un lavoro stabile che le famiglie faranno ripartire i consumi e le imprese gli investimenti. Molti approfondimenti dimostrano che un taglio intorno ai 10 miliardi del cuneo, potrebbe avere un effetto cumulato triennale di circa un punto percentuale su Pil e consumi, nonché di oltre mezzo punto sull’occupazione. Investire la stessa cifra nella riduzione dell’Irpef avrebbe un impatto deci-
IL PERCORSO CORRETTO La necessaria riduzione della pressione fiscale deve essere condotta senza mai smarrire le finalità redistributive
samente meno efficace perché, con la riduzione delle aliquote spalmata su tutti, l’incremento della domanda interna verrebbe molto attenuato dalle scelte di risparmio precauzionale delle famiglie, pressate dalle incertezze occupazionali.
Anche sui temi dell’equità una flat tax del 15%, pur considerando l’effetto delle esenzioni e delle deduzioni, non appare in linea con le esigenze redistributive finalizzate ad attenuare le forti disparità sociali che la crisi ha ampliato. Non è soltanto un tema etico: le diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza, così come l’incremento dei tassi di povertà nelle fasce più deboli sono fattori che, nel medio periodo, favoriscono l’emigrazione di capitale umano nella popolazione giovanile, riducono le possibilità di avanzamento sociale e rischiano di impoverire irreversibilmente tutto il Paese. A questo scopo, è necessario che siano sempre guardate con molta attenzione le finalità redistributive della politica tributaria, e i principi ispiratori della progressività, anche al fine ridurre la disparità che pesa di più: quella delle opportunità.