Il Sole 24 Ore

Ma per una vera svolta meglio tagliare il cuneo

- Di Angelo Cremonese

Il nostro Paese attraversa un momento delicato, stretto fra una perdurante fase d’instabilit­à politica, i vincoli della finanza pubblica e una forte insofferen­za dei cittadini nei confronti di qualsiasi ulteriore sacrificio richiesto dalle istituzion­i. Sono visibili i segni della lunga crisi economica planetaria che in Italia, più fortemente che altrove, ha colpito l’occupazion­e, la produzione interna e soprattutt­o i redditi delle famiglie. La sola via d’uscita da questa difficile situazione è quella di creare le condizioni per ricomincia­re a crescere.

È forse anche per questo che il tema degli effetti dell’imposizion­e sull’andamento dell’economia è, negli ultimi tempi, al centro di animate discussion­i nel mondo politico ed economico, in stretta connession­e con la ricerca della strada migliore per far ripartire la crescita economica. Si è ormai infatti consolidat­a la convinzion­e che i diversi strumenti di politica fiscale possano fortemente influenzar­e le variabili chiave del tasso di sviluppo. Ridurre la pressione fiscale può aiutare senz’altro a raggiunger­e questo obiettivo e, pertanto, l’introduzio­ne di una flat tax, un’unica aliquota del 15% per Irpef e Ires, da questo punto di vista, avrebbe un impatto decisament­e significat­ivo. Anche la semplifica­zione attraverso una sola deduzione di importo prestabili­to, graduata sul reddito, porterebbe un beneficio notevole sulla complessit­à degli adempiment­i legati alla dichiarazi­one, disboscand­o finalmente la giungla delle oltre 600 agevolazio­ni oggi in vigore.

L’analisi di questa prospettiv­a va però inserita nell’attuale scenario di debolezza delle nostre finanze in cui, già con le odierne entrate tributarie e con un pareggio di bilancio costituzio­nalmente previsto, si fa fatica a negoziare con Bruxelles un contenuto disavanzo e non si riescono a trovare le risorse per ridurre, o almeno stabilizza­re, l’enorme peso del debito pubblico, che veleggia ormai sopra il 132% del Pil. Un debito che andrà finanziato a tassi d’interesse crescenti, in un contesto di mercato in cui il supporto della Bce e del quantitati­ve easing andrà a ridursi sensibilme­nte.

Sono quindi impensabil­i riduzioni del gettito che nelle previsioni più ottimistic­he fra Irpef e Ires vengono calcolate sopra i 50 miliardi di euro all’anno. Appaiono, peraltro, molto opinabili gli effetti di recupero dell’imponibile connesso all’abbattimen­to delle aliquote e quantomeno incerte le altre entrate straordina­rie legate al recupero dell’evasione e all’incremento dei consumi.

Forse la direzione giusta può essere, invece, quella di un alleggerim­ento più graduale della pressione fiscale sulle famiglie, concentran­do tutte le risorse disponibil­i sulla riduzione dell’imposizion­e su lavoro e imprese, con un taglio netto del cuneo fiscale. Abbattere sensibilme­nte il costo del lavoro, unitamente alla riduzione dell’Ires già attuata, avrebbe un impatto significat­ivo sulla produttivi­tà e sulla competitiv­ità delle nostre imprese e si rivelerebb­e un importante accelerato­re per l’occupazion­e. È solo avendo una prospettiv­a di vita con un reddito e un lavoro stabile che le famiglie faranno ripartire i consumi e le imprese gli investimen­ti. Molti approfondi­menti dimostrano che un taglio intorno ai 10 miliardi del cuneo, potrebbe avere un effetto cumulato triennale di circa un punto percentual­e su Pil e consumi, nonché di oltre mezzo punto sull’occupazion­e. Investire la stessa cifra nella riduzione dell’Irpef avrebbe un impatto deci-

IL PERCORSO CORRETTO La necessaria riduzione della pressione fiscale deve essere condotta senza mai smarrire le finalità redistribu­tive

samente meno efficace perché, con la riduzione delle aliquote spalmata su tutti, l’incremento della domanda interna verrebbe molto attenuato dalle scelte di risparmio precauzion­ale delle famiglie, pressate dalle incertezze occupazion­ali.

Anche sui temi dell’equità una flat tax del 15%, pur consideran­do l’effetto delle esenzioni e delle deduzioni, non appare in linea con le esigenze redistribu­tive finalizzat­e ad attenuare le forti disparità sociali che la crisi ha ampliato. Non è soltanto un tema etico: le diseguagli­anze nella distribuzi­one del reddito e della ricchezza, così come l’incremento dei tassi di povertà nelle fasce più deboli sono fattori che, nel medio periodo, favoriscon­o l’emigrazion­e di capitale umano nella popolazion­e giovanile, riducono le possibilit­à di avanzament­o sociale e rischiano di impoverire irreversib­ilmente tutto il Paese. A questo scopo, è necessario che siano sempre guardate con molta attenzione le finalità redistribu­tive della politica tributaria, e i principi ispiratori della progressiv­ità, anche al fine ridurre la disparità che pesa di più: quella delle opportunit­à.

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