Dall’impact investing un aiuto al non profit
Il boom degli investimenti sostenibili non conosce tregua. Secondo i più recenti dati del Gsia, Global Sustainable Investment Alliance, network globale delle organizzazioni per l’investimento sostenibile, il totale degli asset gestiti con criteri etici, Esg o riferibili comunque all’ambito della sostenibilità ammontava nel 2016 a oltre 21mila miliardi di euro. Una quota in crescita del 25% rispetto al 2014, anno della precedente rilevazione, e pari a quasi il 30% dell’intero patrimonio finanziario globalmente gestito.
Il successo del trend coinvolge anche il cluster dell’impact investing, ossia l’insieme degli investimenti finalizzati a produrre determinati effetti positivi nella sfera sociale. Si tratta di una modalità di allocazione delle risorse decisamente “segmentata” rispetto alle più comuni strategie Esg, che, come recita l’acronimo, seguono criteri generali di carattere ambientale, sociale e di governance. Anche il volume degli asset è proporzionalmente ridotto (la stessa Gsia indica un ammontare di poco superiore ai 200 miliardi di euro), ma il percorso di crescita in questo caso è ancora più marcato (più 500% negli ultimi cinque anni) e le potenzialità appaiono praticamente illimitate per quei tanti investitori “pazienti” che non mirano a performance annuali a doppia cifra, ma guardano a obiettivi di medio-lungo termine.
Al fenomeno si guarda solitamente dal punto di vista degli emittenti o degli investitori. Merita, però, di essere sottolineato anche il fondamentale interesse che ne possono trarre le organizzazioni non profit potenzialmente “investibili” che, in questo nuovo strumento, stanno trovando – e potranno trovare in futuro – un canale di accesso privilegiato per sviluppare i propri progetti. Le specificità dell’impact investing sono, infatti, almeno due. Da una parte, per i cittadini-risparmiatori, permette di stabilire un legame diretto tra il capitale investito e il cambiamento sociale prodotto, attraverso la misurazione dell’impatto generato. Dall’altra, per le organizzazioni non profit, è un veicolo di consapevolezza interna e di promozione della sostenibilità economico-gestionale. Questo percorso di maturazione si traduce sempre più spesso in opportunità di finanziamento, per esempio attraverso bond tematici ma, a prescindere dalle ricadute meramente finanziarie, è importante anche per l’evoluzione del Terzo settore in termini di trasparenza e accountability. Una prospettiva spesso trascurata nel dibattito fin qui condotto in materia di investimenti sostenibili, se non altro perché il punto d’osservazione iniziale è solitamente, se non unicamente, quello finanziario.
«Il mondo dell’impact investing è molto cresciuto - conferma Rodolfo Fracassi, managing director di MainStreet Partners, organizzazione basata a Londra e specializzata nell’advisory sugli investimenti sostenibili -. Ci sono diversi strumenti che oggi possono permettere al capitale del risparmiatore di raggiungere gli obiettivi prescelti, dalle obbligazioni tematiche ai fondi dedicati, oppure a quelli focalizzati su singole tematiche quali il cambiamento climatico, il social housing, il cibo biologico, il microcredito, i progetti di sviluppo nel Sud del mondo. Questa offerta è la risposta a una domanda di investimenti a impatto sociale che è molto aumentata da parte dei cittadini, così come si va affermando sempre più nella vita quotidiana il loro desiderio di acquistare cibi biologici, piuttosto che di conoscere le modalità di produzione degli abiti che indossano». Il filo diretto tra capitale investito e cambiamento sociale prodotto diventa tracciabile, appunto, grazie alle tecniche di misurazione d’impatto che, per quanto perfettibili, sono oggi molto più dettagliate e sofisticate rispetto al passato.
A cogliere le opportunità determinate dalla crescente sensibilità degli investitori sono state le grandi organizzazioni internazionali. L’esistenza di queste condizioni, tuttavia, suggerisce anche al non profit italiano la necessità di una riflessione sui nuovi strumenti di finanziamento. Nulla che sia d’ostacolo al dispiegarsi dello spirito di carità, alla logica delle donazioni, alle iniziative messe in cantiere al solo fine di perseguire il bene comune. Esistono, però, anche molti progetti del Terzo settore produttivo che sarebbero “investibili”, se solo le organizzazioni ne fossero concretamente consapevoli. Oggi non mancano i capitali, né fa difetto la maturità di una quota crescente di risparmiatori. Sta al non profit produttivo, che nel nostro Paese può vantare esperienze di assoluta innovazione, raccogliere anche questa sfida.