Rischiano anche gli «intermediari»
pLa fruizione di crediti di imposta inesistenti per somme superiori a 50.000 euro comporta sotto il profilo penale, in prima battuta, anche l’integrazione in capo al contribuente di un reato tributario previsto dall’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000. Anche in questo caso, con la riforma del 2015 dei delitti tributari, è stata rimarcata la distinzione tra l’uso di crediti non spettanti e quelli inesistenti, inasprendo il regime sanzionatorio solo per questi ultimi. Secondo il legislatore, infatti, l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, rispetto a quelli non spettanti, rappresenta una fattispecie estremamente offensiva, perché presuppone che il soggetto abbia agito con un intento fraudolento sicuramente maggiore, creando artatamente crediti mai esistiti, al solo fine di non versare le imposte dovute.
Così, mentre per i crediti non spettanti è prevista la reclusione da sei mesi a due anni, per quelli inesistenti, la reclusione va da 18 mesi a sei anni.
Da notare, peraltro, che solo per crediti non spettanti, ma non per quelli inesistenti, se il contribuente esegue integralmente il pagamento di quanto dovuto a seguito della indebita compensazione, può beneficiare della non punibilità a condizione che il versamento (compresi interessi e sanzioni) sia eseguito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
In caso di rateazione, i pagamenti devono concludersi al massimo entro sei mesi dall’udienza di apertura del dibattimento: è infatti prevista una tolleranza di tre mesi e una proroga di altri tre mesi (quest’ultima a discrezione del giudice penale).
Occorre poi considerare che spesso l’indebito utilizzo di crediti inesistenti, salvo le ipotesi in cui l’importo da compensare venga totalmente inventato, comporta la commissione di altre fattispecie penali.È il caso più frequente di false fatturazioni necessarie per simulare studi, ricerche, o altre situazioni per le quali si fruisce del beneficio, di fittizie attestazioni e perizie, eccetera.
In prima battuta, l’indagato è il contribuente/imprenditore che ha fruito indebitamente del credito.
Tuttavia, non di rado, è abbastanza evidente che egli non può aver agito da solo, anzi, in genere, egli è l’”acquirente” di un pacchetto illecito preconfezionato da altri. Si pensi a crediti che richiedono attestazioni/asseverazioni di terzi, valutazioni tecniche, perizie, documentazione relativa all’attività svolta, ecc.
In numerosi casi si è in presenza di strutture che si preoccupano di creare fittiziamente i presupposti dei benefici per poi rivenderli al contribuente che ottiene il risparmio fiscale.
Sotto il profilo penale, ove da riscontri obiettivi dovesse emergere la consapevolezza di soggetti esterni nella predisposizione e nell’esecuzione dell’attività illecita posta in essere (e poi venduta) al cliente, potrebbe configurarsi una loro responsabilità a titolo di concorso nei reati commessi da chi ha usufruito dei benefici fiscali.