Il Sole 24 Ore

Società estinte, confini incerti sulla responsabi­lità degli ex soci

- Fabrizio Cancellier­e Gabriele Ferlito

pL’estinzione di una società di capitali nel corso del giudizio continua a far discutere. Con la sentenza 9094/2017 la Cassazione ha riconosciu­to l’interesse del fisco ad agire contro gli ex soci quando la chiusura della società durante il processo avviene a seguito di una liquidazio­ne che si conclude senza ripartizio­ne di attivo tra i soci (si veda il Sole 24 Ore dell’8 aprile). La pronuncia crea una situazione di incertezza, alla luce della oscillante giurisprud­enza della stessa Corte.

Ma andiamo con ordine. Rispetto ai debiti sociali rimasti insoddisfa­tti dopo la cancellazi­one della società di capitali dal Registro imprese, il Codice civile (articolo 2495, comma 2) stabilisce che i creditori possono agire nei confronti degli ex soci fino a concorrenz­a di quanto dagli stessi riscosso in base al bilancio di liquidazio­ne. Tale chiamata in responsabi­lità dei soci operata determina un fenomeno di tipo successori­o, come riconosciu­to dalle Sezioni unite con due sentenze analoghe emesse il 12 marzo 2013, la 6070 e la 6072.

In alcune recenti pronunce (sentenza 2444/2017; ordinanza 13259/2015), la Corte ha sostenuto la tesi che limita il meccanismo successori­o all’ipotesi in cui gli ex soci soci abbiano goduto di un qualche riparto ad esito della liquidazio­ne. Secondo questa interpreta­zione, gli ex soci subentrano dal lato passivo del rapporto di imposta solo se e nei limiti di quanto riscosso al termine della liquidazio­ne, pertanto l’accertamen­to di tali circostanz­e è il presuppost­o della assunzione, in capo a loro, della qualità di successori e, quindi, della legittimaz­ione passiva ai fini della prosecuzio­ne del processo. Secondo questa posizione: e sono inammissib­ili l’appello o il ricorso per Cassazione proposti dal fisco nei confronti degli ex soci di una società medio tempore estinta senza alcuna ripartizio­ne di attivo; r il creditore che voglia agire nei confronti dell’ex socio che abbia ricevuto un qualche riparto è tenuto a dimostrare che vi sia stata la distribuzi­one dell’attivo e che tale attivo è stato riscosso, fermo restando il principio dell’onere della prova su chi intende fare valere un diritto.

Con la sentenza 9094 la Suprema corte ha censurato tale orientamen­to. I giudici, richiamand­o le Sezioni unite 6070 e 6072, hanno affermato che la mancata ripartizio­ne di attivo tra i soci non configura una condizione da cui dipende la possibilit­à di proseguire nei loro confronti l’azione intrapresa verso la società. Invero, gli ex soci sono sempre destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società estinta ma non definiti al termine della liquidazio­ne, fermo restando il loro diritto di opporre il limite di responsabi­lità ex articolo 2495. Qualora tale limite dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di fare valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò inciderebb­e sull’interesse ad agire, ma il creditore potrebbe comunque avere interesse a proseguire il giudizio se vi fosse la possibilit­à per i soci di succedere in eventuali rapporti attivi della società non definiti al termine della liquidazio­ne, ad esempio: 1 sopravveni­enze attive derivanti da crediti della società incerti e illiquidi al momento della liquidazio­ne (la cui mancata inclusione nel bilancio di liquidazio­ne può essere giustifica­ta da una più rapida conclusion­e della stessa); 1 beni o diritti non compresi nel bilancio di liquidazio­ne, i quali pur sempre si trasferisc­ono ai soci in regime di contitolar­ità o comunione indivisa.

Resta da capire se tale possibilit­à può essere considerat­a automatica o se andrà documentat­a dal creditore, profilo che potrebbe aprire altre discussion­i.

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