Nel mirino dei Pm i lavori effettuati a partire dal 1993
Le anomalie dei ripetuti interventi sui cordoli e dei costi caricati sui pedaggi
L’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi punta sui lavori svolti negli ultimi 25 anni sul viadotto crollato il 14 agosto, uccidendo 43 persone. Gli accertamenti si estenderanno al ruolo del ministero delle Infrastrutture nell’approvare i lavori. Potrebbero emergere prassi anomale di controllati e controllori, con possibili effetti su sicurezza e rincari dei pedaggi; si potrebbe scoprire che alcuni lavori risultano effettuati più volte in pochi anni.
In attesa che arrivino i documenti acquisiti ieri negli uffici di Autostrade per l’Italia di Roma, Firenze e Genova, i pm si stanno convincendo che la chiave stia nella serie di lavori iniziata nel 1993, quando con i fondi delle Colombiadi vennero rifatti gli stralli della pila 11, quella più a est delle tre strutture a forma di «A». Da allora si sono susseguiti molti interventi.
Una prima prassi anomala destinata a emergere è comune a quasi tutte le autostrade italiane: la mancanza delle verifiche antisismiche richieste dall’ordinanza del Presidente del Consiglio 3274/2003. Le uniche autostrade per le quali sono state avviate le procedure sono A24 e A25 (RomaAbruzzo, si veda Il Sole 24 Ore di ieri).
Anomalie potrebbero emergere anche dal voto del 1° febbraio con cui il Comitato tecnico amministrativo (Cta) del Provveditorato opere pubbliche di Genova ha dato parere favorevole ai lavori da 20 milioni previsti per rimediare al degrado del ponte e messi a gara il 28 aprile. Il voto è stato già al centro di polemiche per il presunto mancato allarme sulle condizioni del ponte, crollato sei mesi dopo. La Procura valuterà se il presidente del Cta (Roberto Ferrazza, nella bufera perché ora presiede la commissione d’inchiesta ministeriale sul crollo del ponte) fosse obbligato a segnalare al ministero che c’era un pericolo.
Giuridicamente la questione è complessa, anche perché la prassi di coinvolgere i Provveditorati nell’approvazione di questi progetti è adottata solo dall’anno scorso. Ma c’è anche un dubbio sostanziale: occorrerà vedere se dagli allegati (che non sono a disposizione della stampa) emergerà che il Cta ha davvero fatto una valutazione delle condizioni del ponte coerente con il livello degli interventi previsti dal progetto.
Il dubbio sul grado di attenzione del Cta è reso lecito da quel che si legge nel testo del voto: uno degli interventi da eseguire risulta essere il rifacimento dei cordoli ai lati delle carreggiate, che però dovrebbe essere stato già eseguito nei mesi scorsi, con i lavori sulle barriere new jersey. Negli ultimi anni dovrebbe essere stato effettuato anche il ripristino delle travi laterali dell’impalcato (che dovrebbe toccare anche i cordoli). Se la Procura dovesse trovare i riscontri, si porrebbe una domanda: cattiva programmazione dei lavori o, peggio, opere eseguite una sola volta e contabilizzate per tre?
Peraltro, il Cta ha classificato il progetto come «migliorativo» dell’opera, quindi i suoi costi sono portati nel conto degli investimenti che fanno scattare i rincari dei pedaggi. Ma dal testo disponibile non si evince che il viadotto sia stato migliorato strutturalmente, per esempio adeguandolo all’aumento del traffico e del peso dei veicoli, lamentati dallo stesso gestore in un documento del 2011. Piuttosto, nel testo si nota che, su 20 milioni di euro di lavori, la metà riguarda non opere strutturali ma rifacimenti in superficie («corticali»): una sorta di mera cosmesi (che comunque, se ben fatta, protegge le strutture dal degrado, posto che siano sane), come accade su molte strade italiane (le imprese appaltatrici più serie se ne lamentano).
Non ha invece alcuna rilevanza quel 72,89% di investimenti non eseguiti sul tratto genovese citato ieri dall’Anac nella sua richiesta ad Aspi di chiarimenti sui lavori mesi a bando ad aprile: la cifra comprende la realizzazione della Gronda, bloccata da ragioni politiche.