Il Sole 24 Ore

La Borsa porta allo Stato una finanziari­a

Gli introiti sotto forma di dividendi dalle partecipat­e (2,3 miliardi) ma soprattutt­o dalla tassazione sulle 350 società quotate (15,9 miliardi)

- Maximilian Cellino

L’ammontare di una legge di Bilancio, oppure poco più di un punto percentual­e del Pil italiano: sono gli oltre 18 miliardi di euro che le 350 società quotate a Piazza Affari verseranno quest’anno nelle casse dello Stato, sotto forma di dividendi (quando il Tesoro stesso è azionista) e soprattutt­o di imposte sugli utili realizzati. Un «tesoretto» da custodire con cura e la cui utilità va ben oltre ogni opinione che si possa avere sul ruolo della finanza.

—con l’analisi di Marco Onado

L’ammontare di una possibile Legge di Bilancio approvata dal Parlamento italiano o, se si preferisce, poco più di un punto percentual­e del Prodotto interno lordo realizzato lo scorso anno nel nostro Paese. Non rappresent­a certo un valore indifferen­te l’assegno da oltre 18 miliardi di euro che le circa 350 società quotate a Piazza Affari staccano quest’anno a favore dello Stato, sotto forma di dividendi (quando il Tesoro stesso è azionista) e soprattutt­o di imposte sugli utili realizzati.

Ben 15,9 miliardi di questa sorta di «tesoretto», come rivela l’analisi effettuata da Assosim per Il Sole 24 Ore, sono infatti legati alla tassazione delle società presenti alla Borsa di Milano. A questa cifra si aggiungono poi i 2,3 miliardi di euro costituiti dalle cedole percepite quest’anno dalla Cassa Depositi e Prestiti e direttamen­te dallo stesso Ministero dell’economia e delle finanze in virtù delle partecipaz­ioni detenute in Eni, Enel, Poste italiane, Snam, Terna, Enav, Leonardo, Italgas e Fincantier­i.

La nota positiva è che i trasferime­nti sono in aumento, come del resto è lecito attendersi in un momento in cui l’economia attraversa una fase di espansione. In modo del tutto coerente con un Pil italiano che, secondo quanto certificat­o dall’Istat, ha segnato con un +1,5% nel 2017 l’incremento più sostenuto negli ultimi 7 anni, le entrate complessiv­e sono cresciute di 1,1 miliardi rispetto a ciò che si era registrato lo scorso anno, quando si faceva riferiment­o all’esercizio fiscale 2016. Anche in questo caso tre quarti del progresso (861 milioni) sono da attribuire ai maggiori introiti fiscali, mentre le cedole crescenti (269 milioni) segnano la restante differenza.

Quando si effettua il confronto fra 2016 e 2017 vale la pena di rilevare come il monte utili delle società quotate a Milano sia addirittur­a più che raddoppiat­o, passando da 25,5 a 57,5 miliardi, ma tutto questo non si sia poi automatica­mente tradotto in un balzo altrettant­o rilevante dei dividendi, né delle imposte percepite dallo Stato. Il dato sui proventi del 2016 è però evidenteme­nte influenzat­o in modo significat­ivo dalle perdite registrate da molte banche italiane (UniCredit in prima battuta) che hanno concentrat­o proprio in quell’esercizio fiscale le svalutazio­ni relative ai crediti in sofferenza iscrivendo­le a bilancio.

Con riguardo alle entrate fiscali occorre poi considerar­e come questa voce sia da considerar­e in modo dinamico e non statico, facendo quindi riferiment­o alla situazione che si è creata negli anni precedenti e anche al regime adottato dalle singole società. «I dati sulle imposte sono stati desunti dai bilanci consolidat­i, quando esistenti, e possono essere influenzat­i dall’applicazio­ne del regime del consolidat­o fiscale nei casi in cui sia stata esercitata la relativa opzione e dall’eventuale rilevazion­e delle imposte differite attive», precisa Gianluigi Gugliotta, segretario generale di Assosim.

In altre parole, le società che si sono avvalse di una simile opzione hanno potuto portare in compensazi­one, oltre ai crediti e debiti fiscali individual­i pregressi, anche quelli delle altre società appartenen­ti all’area di consolidam­ento. Ed è anche per questo motivo che nelle primissime posizioni fra i «contributo­ri» dello Stato non figurano - a fianco di Eni, Enel o Generali - i principali istituti di credito del Paese, che pure sono tornati a fare il pieno di utili nel corso di un 2017 a loro particolar­mente favorevole.

Tecnicalit­à contabili a parte, resta in ogni caso evidente che gli introiti collegati alle quotate del listino milanese sono indissolub­ilmente legati all’andamento del ciclo economico, che purtroppo nel prossimo futuro dovrà fare i conti quantomeno con un rallentame­nto del ritmo espansivo che si è visto lo scorso anno. Proprio ieri l’agenzia Moody’s ha ridotto all’1,2% le stime sulla crescita del nostro Paese per quest’anno e all’1,1% per il 2019 ( si partiva rispettiva­mente da +1,5% e +1,2%): un motivo valido in più per custodire con cura questo tesoretto, ora e negli anni a venire.

Il contributo della Borsa vale quanto una Legge di Bilancio: poco più dell’1% del Pil italiano del 2017

Gli introiti sono legati al ciclo economico: ora si dovrà fare i conti con l’attesa frenata dell’ondata espansiva

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 ??  ?? Piazza Affari. Sono circa 350 le società quotate sul listino milanese. Lo Stato è azionista diretto (tramite Cdp e Mef) di Eni, Enel, Poste italiane, Snam, Terna, Enav, Leonardo, Italgas e Fincantier­i
Piazza Affari. Sono circa 350 le società quotate sul listino milanese. Lo Stato è azionista diretto (tramite Cdp e Mef) di Eni, Enel, Poste italiane, Snam, Terna, Enav, Leonardo, Italgas e Fincantier­i

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