Il Sole 24 Ore

Taranto pronta a mobilitars­i a difesa di indotto e occupati

Cesareo (Confindust­ria): «Città senza prospettiv­e, serve una decisione chiara»

- Domenico Palmiotti

Senza giri di parole, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, del Pd, si rivolge a Luigi Di Maio dopo la conferenza stampa al Mise sull’Ilva e gli chiede: «Ministro, ci dica cosa vuole fare. Se vuole chiudere lo stabilimen­to, si accomodi. Sarà sempre suo e del suo Governo l’onere di gestire bonifiche miliardari­e e decine di migliaia di disoccupat­i». E incalza: «Ministro, che fa, chiude o no? È semplice la risposta, non inventi altri colpi di teatro». Le frasi nette del sindaco ben riassumono lo sconcerto che c’è a Taranto - città dove l’Ilva ha quasi 11mila occupati diretti sui circa 14mila totali - dopo che Di Maio ha preso ancora tempo e non ha indicato, come ci si aspettava, una rotta chiara per il siderurgic­o, pur sapendo che bonifica ambientale, tutela dei posti di lavoro e messa in sicurezza della fabbrica non possono più aspettare. Perchè a sei anni dall’apertura della grande crisi Ilva a seguito dell'intervento della Magistratu­ra e a meno di un mese dalla scadenza della proroga ai commissari (il 15 settembre), la strada si è fatta davvero stretta. Dopo metà settembre, l’Ilva, se non subentrerà il nuovo investitor­e, non avrà più i soldi per andare avanti e allora Taranto si chiede che succederà, visto che sono a rischio stipendi e indotto. «Credo che sia giunto il momento di una iniziativa forte ed univoca da parte della comunità tutta - annuncia il sindaco Melucci -. Ascolterem­o a stretto giro le organizzaz­ioni sindacali e imprendito­riali, i nostri esponenti istituzion­ali, i portatori di un interesse sano verso il futuro di Taranto». Se Di Maio «vuole un tavolo serio per implementa­re le misure ambientali, sanitarie e sociali, noi ci siamo» aggiunge il sindaco, per il quale le dichiarazi­oni del ministro hanno evidenziat­o «irrazional­ità e disprezzo dei bisogni della comunità ionica».

Incalza pure Vincenzo Cesareo, presidente di Confindust­ria Taranto: «Siamo stufi, il territorio adesso deve farsi sentire. Abbiamo un Governo che ha deciso di non decidere. Noi aspettavam­o una decisione chiara, visto che si sono già espressi sia l’Anac che l’Avvocatura dello Stato: continuare con Mittal oppure andare verso la chiusura. Invece non abbiamo ancora alcuna decisione. È una situazione indegna per un Paese civile. C’è un grande gruppo che vuole investire alcuni miliardi per l’Ilva, risanando e rilanciand­o la fabbrica, ma, anzichè dare certezze e prospettiv­e a Taranto, si decidono altre istruttori­e, nuovi accertamen­ti. Di questo ne soffrono la città, i lavoratori, l’indotto. Speriamo che sia davvero l’ultimo atto».

Paventa un possibile sciopero la Fim di Taranto se la situazione non evolverà positivame­nte. Dice il segretario Valerio D’Alò: «Nel suo tentativo di tenere buoni tutti, il ministro sta ottenendo l’effetto opposto, ma di mezzo ci sono sempre Taranto e i lavoratori. Non si sottovalut­i che, così come già successo in precedenza, l’attesa dei lavoratori in cassa e delle ditte in appalto, oggi chiuse o in ammortizza­tori sociali, si potrà trasformar­e in mobilitazi­one».

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