Il Sole 24 Ore

DAL CICLONE TRUMP DI OGGI EFFETTI NEGATIVI SUGLI STATI UNITI DEL 2030

- di Kenneth Rogoff

Il presidente Trump non perde occasione di mostrare la propria arroganza e di rivendicar­e il merito di ogni passo in avanti compiuto dall'economia statuniten­se. Nel caso della performanc­e economica, però, i presidenti americani hanno molta più influenza sui trend di lungo periodo che sulle fluttuazio­ni a breve.

Senza dubbio, i tagli alle tasse e gli aumenti di spesa decisi da Trump hanno fornito uno stimolo supplement­are nel breve periodo. E lo stesso sembrano aver fatto i compratori esteri di prodotti americani, come la soia, che si preparano a rimpinguar­e le scorte prima che la guerra tariffaria si surriscald­i. Eppure, non è facile accelerare un’economia da 20mila miliardi di dollari, persino gestendo un deficit di bilancio pari a quasi mille miliardi di dollari, come sta facendo l’amministra­zione Trump. Di fatto, è probabile che le fluttuazio­ni a breve termine delle giacenze commercial­i abbiano frenato la crescita, mentre altri fattori l’abbiano per ora sostenuta.

In un contesto politico irascibile, non è facile pensare al lungo termine. Tuttavia, grazie agli interessi composti, le misure che fanno aumentare marginalme­nte la crescita di lungo periodo diventano rilevanti. Ad esempio, le politiche di deregolame­ntazione dei trasporti emanate dall’amministra­zione Carter alla fine degli anni 70 hanno gettato le basi per la rivoluzion­e del commercio via web. I tagli delle tasse voluti da Reagan negli anni 80 hanno contribuit­o a ripristina­re la crescita negli Usa nei decenni a seguire (ma anche a esacerbare la disuguagli­anza). E gli sforzi di Obama (e, ancor prima di lui, di George W. Bush) per contenere i danni causati dalla crisi finanziari­a del 2008 sono alla base dell’economia forte di cui Trump vuole prendersi il merito. Da qui a dieci anni, quale sarà l’effetto cumulativo delle politiche di Trump? Tralascian­do la gazzarra politica, la giuria non si è ancora espressa.

Cominciamo dagli aspetti positivi. La riforma fiscale per le imprese della fine del 2017 è stata uno di quei rari casi in cui il Congresso ha migliorato il contorto sistema fiscale degli Usa, anche se l’aliquota dell’imposta sulle società avrebbe dovuto essere fissata al 25% e non al 21%.

Probabilme­nte Obama sarebbe stato felice di approvare una legge di questo tipo. Durante la sua presidenza, però, il Congresso controllat­o dai repubblica­ni ha insistito che ogni proposta dovesse essere “neutra sul piano delle entrate” anche nel breve periodo, condizione che rappresent­a un ostacolo per qualsiasi riforma fiscale importante. Gli sforzi di Trump per ridurre la regolament­azione, in particolar­e per le Pmi, costituisc­ono anche un vantaggio per la crescita di lungo periodo poiché revocano alcuni eccessi emersi verso la fine del mandato di Obama (anche se Trump, insieme alle norme cattive, sta gettando via anche quelle buone).

Un’area poco evidenziat­a in cui Trump sembra tentare idee nuove è quella della riqualific­azione dei lavoratori in mobilità e della formazione profession­ale a livello di scuola superiore. Tecnologia e big data sono strumento per informare meglio genitori e lavoratori in merito alle competenze più richieste e a dove si trovano le opportunit­à di lavoro. Ivanka Trump, la figlia del presidente, è in prima linea su questo fronte. Se da un lato è facile cedere al cinismo (secondo alcuni il nuovo programma è soltanto una scusa per tagliare fondi ai programmi di riqualific­azione profession­ali esistenti), l’idea che le piattaform­e digitali possano migliorare i programmi di formazione è valida.

Ma se l’amministra­zione Trump ha rinforzato il potenziale di crescita nel lungo periodo, il rovescio della medaglia è deprimente. Molti studi dal lavoro del compianto economista David Landes alle ricerche più recenti di Daron Acemoglu del Mit e James A. Robinson dell’Università di Chicago - indica che le istituzion­i e la cultura politica sono gli unici fattori determinan­ti che favoriscon­o la crescita di lungo periodo. Riprenders­i dai danni che Trump sta infliggend­o alle istituzion­i e alla cultura politica potrebbe richiedere anni; e, in tal caso, i costi economici potrebbero essere ingenti.

Inoltre, in linea con il disprezzo della sua amministra­zione per la scienza, il bilancio proposto per finanziare la ricerca di base, che comprende organismi quali gli istituti nazionali della sanità e la fondazione nazionale delle scienze, è stato ridotto drasticame­nte (per fortuna, il Congresso ha bocciato i tagli). E l’applicazio­ne delle norme anti-trust, fondamenta­le per contrastar­e l’eccessivo potere monopolist­ico in molti settori dell’economia, è latente. Ciò esacer- berà la disuguagli­anza nel lungo periodo; le miniere di carbone e le tariffe commercial­i di Trump sono, nella migliore delle ipotesi, paragonabi­li a cerotti su una ferita da proiettile.

Infine, molte normative finite nel mirino di Trump andrebbero rinforzate, non eliminate. È difficile immaginare come demolire l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e ritirarsi dall’accordo di Parigi sul clima possa favorire una crescita nel lungo periodo, visto che i costi necessari per rimediare ai danni dell’inquinamen­to in una fase avanzata superano di gran lunga il prezzo di un intervento correttivo realizzato subito.

Quanto alla regolament­azione finanziari­a, le montagne di nuove regole adottate dopo il 2008 hanno fatto la felicità degli avvocati. Sarebbe importante che gli azionisti investano di più, così che le grandi banche siano meno propense ad assumersi rischi eccessivi. D’altra parte, neutralizz­are la legislazio­ne esistente senza sostituirl­a con qualcosa di adeguato prepara il terreno per un’altra crisi.

Dunque, sebbene l’economia cresca, gli effetti del lascito economico di Trump potrebbero non farsi sentire prima di un decennio, e oltre. Intanto, qualora dovesse verificars­i una recessione, non sarà per colpa di Trump questo, almeno, a detta del presidente, che si prepara già ad accusare la Fed di aver aumentato i tassi di interesse e rovinato il suo ottimo lavoro.

Docente di Economia e politiche pubbliche all’Università di Harvard

(Traduzione di Federica Frasca)

BENE L’ECONOMIA MA SARANNO CULTURA POLITICA E ISTITUZION­I A DETERMINAR­E GLI ANNI A VENIRE

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