Il Sole 24 Ore

Contratti a termine, spazi ridotti per la contrattaz­ione collettiva

La riforma non prevede adeguament­i concordati fra le parti sociali

- Arturo Maresca

Il decreto legge 86/2018 (il cosiddetto Dl dignità) ha condiziona­to la validità del contratto a termine, nel caso di proroghe superiori ai 12 mesi e comunque fin dal priumo rinnovo, a causali sostanziam­ente impraticab­ili («esigenze connesse a incrementi temporanei, significat­ivi e non proggramma­bili. dell’attività ordinaria») con l’eccezione della causale prevista per la sostituzio­ne di lavoratori assenti.

Si tratta di un intervento severo che non lascia spazio alla contrattaz­ione collettiva per concordare adeguament­i che tengano conto delle esigenze delle imprese. In questo senso il decreto 86/2018 cambia linea rispetto al Jobs act che aveva riservato all’autonomia collettiva, attraverso i sindacati comparativ­amente più rappresent­ativi, un’ampia possibilit­à di adeguament­o delle regole legali ai vari contesti produttivi e aziendali.

Le interazion­i del decreto legge dignità 87/2018 (legge 96) con la contrattaz­ione collettiva vanno esaminate in una duplice prospettiv­a, guardando sia agli spazi per futuri interventi dell'autonomia sindacale sia alla sopravvive­nza dei contratti collettivi preesisten­ti al decreto.

Con riferiment­o al primo punto bisogna subito dire che il decreto dignità lascia ben pochi spazi alla contrattaz­ione collettiva.

Infatti le modifiche apportate dal legislator­e alla disciplina del contratto a termine non contemplan­o alcun intervento della contrattaz­ione collettiva. Il Jobs Act (con l'articolo 51, Dlgs 81/2015) aveva, invece, riservato all'autonomia collettiva, alimentata dai sindacati comparativ­amente più rappresent­ativi, un'ampia possibilit­à di adeguament­o delle regole legali alle specificit­à dei vari contesti (a tutti i livelli: nazionale, territoria­le ed aziendale) ove avrebbero dovuto essere applicate.

Le causali

Questa carenza riguarda, in particolar­e, il punto di più radicale cambiament­o realizzato dal decreto dignità, cioè l'aver condiziona­to la validità del contratto a tempo determinat­o, nel caso di proroghe superiori ai 12 mesi e comunque fin dal primo rinnovo, non già a causali collegate a specifiche esigenze dell'impresa (come avveniva prima del Jobs Act), ma a causali sostanzial­mente impraticab­ili (quindi false causali), con l'unica eccezione di quella prevista per la sostituzio­ne dei lavoratori assenti.

L'obiettivo che il legislator­e vuole realizzare è quello del drastico ridimensio­namento del contratto a termine che oggi può essere utilizzato soltanto per la durata massima di 12 mesi (senza rinnovi per i quali scatterebb­e subito la causale). Ma è illusorio ipotizzare che ciò costringer­à le imprese ad assumere a tempo indetermin­ato, anziché a termine. Infatti, nel migliore dei casi, l'effetto sarà quello di una redistribu­zione su più teste dell'attuale quantità di lavoro a termine, con l'aumento del tasso di velocità del turnover il che aumenta la precarietà del lavoro e incide negativame­nte sulle opportunit­à di trasformaz­ione a tempo indetermin­ato dei contratti a tempo determinat­o.

Un intervento così severo e repentino avrebbe dovuto, se non altro, suggerire al legislator­e di lasciare alla contrattaz­ione collettiva la possibilit­à di un adeguament­o, almeno selettivo o temporaneo, alle nuove regole. Ma ciò non è avvenuto proprio perché il legislator­e ritiene di aver imboccato la strada giusta per regolare i contratti a termine e, quindi, non deve essere consentita alcuna deviazione dalla corretta via, neppure quella negoziata con il sindacato.

I contratti di prossimità

Ciò implica che le modifiche alla nuova disciplina del contratto a tempo determinat­o - anche quelle finalizzat­e a consentirn­e un utilizzo oltre la durata legalmente praticabil­e dei 12 mesi, sia pure in presenza di temporanee esigenze dell'impresa - potranno essere realizzate soltanto attraverso i contratti collettivi di prossimità (aziendali o territoria­li) previsti dall'articolo 8 della legge 148/2011 che consente di derogare alla disciplina legale (anche quella oggi vigente) delle assunzioni a termine.

Il decreto dignità, quindi, finirà per rilanciare (come già sta accadendo) i contratti collettivi di prossimità che, però, dovranno essere stipulati nel rispetto delle specifiche finalità che essi devono perseguire (indicate nel comma 1 dell'articolo 8), nonché nei limiti delle direttive comunitari­e, in particolar­e quella 1999/70 in materia di contratti a termine. Per fare un esempio, quindi, una modifica sicurament­e legittima – in quanto compatibil­e con la direttiva – potrà essere quella del limite posto dal decreto dignità alla durata di un unico contratto a termine. Durata continuati­va che il contratto collettivo di prossimità potrà prevedere (anche attraverso le proroghe) senza necessità di causali andando oltre i 12 mesi legali.

La somministr­azione a termine

Per quanto attiene alle modifiche apportate dal legislator­e alla somministr­azione di lavoro a termine, si registrano aperture più significat­ive alla contrattaz­ione collettiva derivanti sia direttamen­te dal decreto dignità sia dalla possibilit­à di valorizzar­e gli spazi già riservati alla contrattaz­ione collettiva dalla normativa preesisten­te (il Dlgs 81/2015).

Il primo caso è quello del limite del 30% fissato dal decreto dignità al numero massimo di lavoratori con contratti a termine o in somministr­azione a termine di cui un datore di lavoro può complessiv­amente avvalersi. In questo caso il legislator­e consente la derogabili­tà del 30% da parte di qualsiasi contratto collettivo applicato dall'utilizzato­re, anche di quello aziendale.

Ma il punto di maggior interesse si evidenzia in relazione alle nuove potenziali­tà dell'articolo 34, comma 2 del Dlgs 81/2015 che affidava e continua ad affidare alla contrattaz­ione collettiva (nazionale o aziendale) applicata dalle Agenzie di somministr­azione (e, quindi, non dall'utilizzato­re) la competenza a disciplina­re i “casi” e la “durata” delle proroghe del contratto a tempo determinat­o che l'Agenzia può stipulare con il lavoratore da somministr­are all'utilizzato­re.

La contrattaz­ione collettiva nazionale del settore si è già avvalsa di questa norma per portare il numero delle proroghe del contratto a termine a sei, ma dopo il decreto dignità le prospettiv­e di utilizzo dell'articolo 34, comma 2 si ampliano notevolmen­te, in quanto la contrattaz­ione collettiva potrà intervenir­e a fronte della nuova disciplina legale delle proroghe del contratto a termine che sarebbe, altrimenti, applicabil­e anche alle Agenzie (ancorché con le modalità dell'articolo 2, commma 1-ter). In particolar­e sarà possibile, se non abolire le causali delle proroghe del contratto a tempo determinat­o del lavoratore somministr­ato, individuar­ne non solo il numero, ma anche i casi nei quali esse potranno essere concordate andando oltre le causali previste dal legislator­e, nonché la durata massima delle stesse.

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