Le imprese italiane e le occasioni mancate per timidezza mediatica
Tendenze e analisi dell’università delle imprese
Le occasioni mancate per la timidezza mediatica delle imprese italiane La timidezza mediatica delle imprese italiane condiziona fortemente le potenzialità di sviluppo dei nostri brand nei mercati internazionali. «Ascoltare e parlare sono due verbi di cui ogni tanto ci dimentichiamo» diceva il fondatore e presidente di Luxottica Leonardo del Vecchio. Nella sua semplicità questa affermazione racchiude l'essenza del Marketing e del Branding.
Le imprese italiane si caratterizzano per il fatto che “ascoltano” mediamente poco il mercato e, ove possibile, “parlano” ancora meno, privilegiando una fortissima vocazione al prodotto trascurando qualche volta l'attenzione al mercato. Quante volte, incontrando un imprenditore del settore agro-alimentare italiano, percepiamo la sua forte emozione nel raccontare come nascono i suoi prodotti e nello spiegare l'importanza degli investimenti fatti per migliorare i processi produttivi ma, di fronte alla problematica di investire risorse nello studio del mercato, nella comunicazione o nel packaging, non percepiamo lo stesso livello di coinvolgimento. Anche dal punto di vista organizzativo, le figure chiave nelle piccole e medie aziende italiane sono i responsabili dell’amministrazione, i responsabili della produzione e i responsabili vendite.
E il marketing? La battuta che spesso si sente dire è «si, al marketing mettiamo quella giovane stagista che tanto i soldi spesi in pubblicità sono soldi buttati». Ne è prova il fatto che il valore della raccolta pubblicitaria complessiva in Italia nel 2017 è stato pari allo 0,47% del Pil, rispetto allo 0,69% della Germania e all’1,16% del Regno Unito.
La conseguenza di questa “timidezza mediatica” è che, nonostante l'eccellenza dei prodotti italiani soprattutto nel settore agroalimentare, la rilevanza dei brand italiani a livello internazionale è poco più che marginale. Basti pensare che l’Italia è famosa in tutto il mondo per la sua pizza e la più grande pizzeria del mondo è americana; è famosa in tutto il mondo per la sua cucina e il più grande ristorante del mondo è americano; è famosa il tutto il mondo per il suo caffè espresso e la più grande caffetteria del mondo è americana e la più grande torrefazione del mondo è svizzera.
La conferma della debolezza delle marche italiane ci arriva dalla classifica recentemente pubblicata da BrandFinance sul valore dei brand a livello globale nel 2018.
Pur se in miglioramento, la situazione dei brand italiani è molto deludente. Tra i primi 500 marchi a livello globale solo 9 sono italiani e il primo è Eni al 144° posto.
Nonostante l'economia italiana rappresenti circa il 3,1% del Pil mondiale, i brand italiani sono l'1,8% del totale e il loro valore è pari allo 0,8% del valore complessivo dei primi 500 marchi al mondo. A titolo di confronto si pensi che il Regno Unito, il cui Pil è pari al 3,8% di quello globale, ha 31 brand in classifica (pari ad una incidenza numerica del 6,1%) che rappresentano un valore cumulato pari a circa l’8% sul totale.
Non v’è dubbio che la configurazione del sistema produttivo italiano, caratterizzato dalla presenza di piccole e medie imprese, rappresenta un limite strutturale allo sviluppo di investimenti in comunicazione su ampia scala. Occorre però fare uno sforzo per favorire lo sviluppo di una vera cultura di marketing nelle imprese. Le decisioni di marketing non possono essere prese solamente in funzione della sensibilità personale basata sul concetto del “mi piace” o “non mi piace”.
Le decisioni di marketing vanno assunte sulla base di analisi e di valutazioni professionali che tengono conto del fatto che le persone e i loro comportamenti di acquisto e di consumo si evolvono in modo veloce, non lineare ed imprevedibile. È finita l'epoca in cui i cambiamenti erano guidati dall'offerta e i consumatori subivano passivamente le scelte delle imprese.
Oggi i grandi brand sono quelli che, in modo credibile, sono in grado di sviluppare una vera relazione con le persone che hanno un ruolo sempre più attivo nel mercato e determinano, con i loro comportamenti, la nascita ed il declino delle marche stesse. Perché, come diceva un famoso pubblicitario, «oggi la pubblicità non sceglie per nessuno, permette semplicemente di scegliere meglio, e basta».
Professore di Brand ManagementUniversità Cattolica di Piacenza