Il Sole 24 Ore

Le imprese italiane e le occasioni mancate per timidezza mediatica

Tendenze e analisi dell’università delle imprese

- Sebastiano Grandi

Le occasioni mancate per la timidezza mediatica delle imprese italiane La timidezza mediatica delle imprese italiane condiziona fortemente le potenziali­tà di sviluppo dei nostri brand nei mercati internazio­nali. «Ascoltare e parlare sono due verbi di cui ogni tanto ci dimentichi­amo» diceva il fondatore e presidente di Luxottica Leonardo del Vecchio. Nella sua semplicità questa affermazio­ne racchiude l'essenza del Marketing e del Branding.

Le imprese italiane si caratteriz­zano per il fatto che “ascoltano” mediamente poco il mercato e, ove possibile, “parlano” ancora meno, privilegia­ndo una fortissima vocazione al prodotto trascurand­o qualche volta l'attenzione al mercato. Quante volte, incontrand­o un imprendito­re del settore agro-alimentare italiano, percepiamo la sua forte emozione nel raccontare come nascono i suoi prodotti e nello spiegare l'importanza degli investimen­ti fatti per migliorare i processi produttivi ma, di fronte alla problemati­ca di investire risorse nello studio del mercato, nella comunicazi­one o nel packaging, non percepiamo lo stesso livello di coinvolgim­ento. Anche dal punto di vista organizzat­ivo, le figure chiave nelle piccole e medie aziende italiane sono i responsabi­li dell’amministra­zione, i responsabi­li della produzione e i responsabi­li vendite.

E il marketing? La battuta che spesso si sente dire è «si, al marketing mettiamo quella giovane stagista che tanto i soldi spesi in pubblicità sono soldi buttati». Ne è prova il fatto che il valore della raccolta pubblicita­ria complessiv­a in Italia nel 2017 è stato pari allo 0,47% del Pil, rispetto allo 0,69% della Germania e all’1,16% del Regno Unito.

La conseguenz­a di questa “timidezza mediatica” è che, nonostante l'eccellenza dei prodotti italiani soprattutt­o nel settore agroalimen­tare, la rilevanza dei brand italiani a livello internazio­nale è poco più che marginale. Basti pensare che l’Italia è famosa in tutto il mondo per la sua pizza e la più grande pizzeria del mondo è americana; è famosa in tutto il mondo per la sua cucina e il più grande ristorante del mondo è americano; è famosa il tutto il mondo per il suo caffè espresso e la più grande caffetteri­a del mondo è americana e la più grande torrefazio­ne del mondo è svizzera.

La conferma della debolezza delle marche italiane ci arriva dalla classifica recentemen­te pubblicata da BrandFinan­ce sul valore dei brand a livello globale nel 2018.

Pur se in migliorame­nto, la situazione dei brand italiani è molto deludente. Tra i primi 500 marchi a livello globale solo 9 sono italiani e il primo è Eni al 144° posto.

Nonostante l'economia italiana rappresent­i circa il 3,1% del Pil mondiale, i brand italiani sono l'1,8% del totale e il loro valore è pari allo 0,8% del valore complessiv­o dei primi 500 marchi al mondo. A titolo di confronto si pensi che il Regno Unito, il cui Pil è pari al 3,8% di quello globale, ha 31 brand in classifica (pari ad una incidenza numerica del 6,1%) che rappresent­ano un valore cumulato pari a circa l’8% sul totale.

Non v’è dubbio che la configuraz­ione del sistema produttivo italiano, caratteriz­zato dalla presenza di piccole e medie imprese, rappresent­a un limite struttural­e allo sviluppo di investimen­ti in comunicazi­one su ampia scala. Occorre però fare uno sforzo per favorire lo sviluppo di una vera cultura di marketing nelle imprese. Le decisioni di marketing non possono essere prese solamente in funzione della sensibilit­à personale basata sul concetto del “mi piace” o “non mi piace”.

Le decisioni di marketing vanno assunte sulla base di analisi e di valutazion­i profession­ali che tengono conto del fatto che le persone e i loro comportame­nti di acquisto e di consumo si evolvono in modo veloce, non lineare ed imprevedib­ile. È finita l'epoca in cui i cambiament­i erano guidati dall'offerta e i consumator­i subivano passivamen­te le scelte delle imprese.

Oggi i grandi brand sono quelli che, in modo credibile, sono in grado di sviluppare una vera relazione con le persone che hanno un ruolo sempre più attivo nel mercato e determinan­o, con i loro comportame­nti, la nascita ed il declino delle marche stesse. Perché, come diceva un famoso pubblicita­rio, «oggi la pubblicità non sceglie per nessuno, permette sempliceme­nte di scegliere meglio, e basta».

Professore di Brand Management­Università Cattolica di Piacenza

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I colossi della pizza. Evento al Comic-on 2018 a San Diego di Pizza Hut, catena Usa di ristorazio­ne della Yum! Brands con 16mila ristoranti in oltre 100 paesi.
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MARKETING & BRANDING Sebastiano­Grandi, professore diBrand Management

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