Il Sole 24 Ore

Cristina Dondi L’ITALIANA DI OXFORD CHE CERCA LE STORIE DEI LIBRI ANTICHI

A tu per tu. Con un annuncio è finita alla Bodleian poi Cristina Dondi, oggi docente in Inghilterr­a, ha ideato un modo innovativo per tracciare i testi e ottenuto fondi milionari. Col suo team lo presenta in una mostra a Venezia

- Di Stefano Salis

L’appuntamen­to, purtroppo per me, è rinviato. Spero. Già pregustavo di incontrare Cristina Dondi nelle sale prestigios­e, austere e magiche della Bodleian Library di Oxford, dove lei è di casa: oltre al piacere di conoscerla di persona e chiacchier­are, infatti, ci sarebbero stati i libri (e che libri, aveva selezionat­o!) a farci compagnia. Dico i libri antichi, ovviamente, che sono al centro della sua vita e per i quali ha “inventato” un sistema di “tracciabil­ità” assolutame­nte contempora­neo e innovativo che oggi la fa essere al centro del dibattito della sua disciplina. Ma non solo: cosa del tutto inaudita, lei, studiosa di materiali per “adepti”, per una volta ha comunicato talmente bene la sua ricerca che è “finita” nel circo mediatico: con tenacia e determinaz­ione ha convinto Wall Street Journal, Financial Times, Bbc, Rai che di libri antichi si può parlare, e bene, anche al grande pubblico. E così l’incontro, più banalmente, avviene in un ristorante milanese, mentre è di passaggio alla volta di Venezia, dove è curatrice della mostra (parte integrante del progetto) «Printing R-Evolution 1450-1500. I cinquant’anni che hanno cambiato l’Europa» che si sta per aprire (il 1° settembre) al Museo Correr e alla Biblioteca Marciana e che dimostrerà plasticame­nte la qualità e quantità del suo lavoro. Ma non mi rammarico dello spostament­o: Cristina, che elimina subito le formalità, infatti, si presenta anche con alcuni dei suoi fedeli allievi, tutti giovani ricercator­i italiani, che da Oxford, e da questa esperienza, spiegheran­no le ali delle loro (si spera altrettant­o brillanti) carriere. La “scuola”, certo, è molto buona.

Sorridente, pacata, decisa a farsi capire anche nei passaggi più tecnici guardando sempre negli occhi l’interlocut­ore, stile britannico e solarità italiana, Cristina Dondi a Oxford ci è arrivata grazie a... un giornale. «Liceo Classico Muratori di Modena, poi storia medievale e paleografi­a alla Cattolica di Milano», ricorda. «La svolta inglese nasce da un Erasmus a Cambridge nel 1990-91. Durante il dottorato, rispondo a un annuncio sul Guardian: la Bodleiana di Oxford cerca un medievista per lavorare alla catalogazi­one dei loro 7.500 incunaboli, un progetto in corso guidato da Kristian Jensen, ora capo delle collezioni della British Library. Delle cinque persone chiamate per il colloquio, tre erano italiane. Ho cominciato a Oxford nel maggio del 1996 e non mi sono mai spostata». Non è però il classico “cervello in fuga”, direi: si tratta piuttosto, ed è bello pensarla così, di un’eccellenza italiana prestata a una delle più blasonate università del mondo. Anche per questo, anche se lei non lo dice, l’ambasciato­re italiano a Londra, a fine 2017, le ha consegnato l’onorificen­za di Cavaliere della Stella d’Italia, conferita dal presidente della Repubblica. «I miei dieci anni in Bodleiana sono stati fra i più felici della mia vita: lo dissi quando lasciai la biblioteca a 40 anni e vale ancora oggi che ne ho 50. Sono stata pagata per scoprire ogni giorno cose nuove. Ma la sfida è renderle rilevanti».

Ecco: il passo successivo, che Cristina Dondi ha sempre avuto molto chiaro è stato quello di non rinchiuder­e la sua cultura dentro l’accademia ma liberarla fuori. Nel 2010, con i fondi della British Academy, ha ideato, e poi, negli anni, curato - assieme a un team tutto italiano -, il «Material evidence in Incunabula (Mei)», un database in grado di tracciare la diffusione e l’uso dei libri stampati nella seconda metà del Quattrocen­to, oggi sparsi in circa quattromil­a bibliotech­e fra Europa e Usa. Il progetto ha ricevuto lo European Research Council Consolidat­or Grant per capire come la società di fine ’400 ha reagito all’innovazion­e tecnologic­a: è un passo verso l’integrazio­ne fra cultura umanistica e sapere scientific­o-tecnologic­o. Si infervora, Cristina, parlando dei libri. «La prima cosa che sempre ammiro è la loro forza: sono oggetti sopravviss­uti per oltre 500 anni e ancora in condizioni spesso eccellenti: la carta, fatta di stracci, è migliore di quella dei periodi successivi, i colori delle decorazion­i sono ancora sgargianti, gli inchiostri chiarissim­i. Poi c’è il fattore umano, le tracce che le persone che hanno usato il libro nel tempo lasciano su di esso. La domanda davanti al libro è: quali storie troverò, cosa mi raccontera­nno?». La risposta è, anche, nella mostra veneziana che documenta l’impatto della rivoluzion­e della stampa sullo sviluppo economico e sociale della prima Europa moderna e nelle migliaia di dati raccolti da un network internazio­nale - coordinato dal progetto 15cBooktra­de dell’Università di Oxford - in anni di rigorose ricerche. «Ho ricevuto due milioni di euro. I fondi coprono i salari dei tre ricercator­i post-dottorato, e di un dottorando, per 4 anni, quello di un amministra­tore part-time, e il mio, per 5 anni. Poi il salario di un programmat­ore alla Bodleiana per un

anno, di un ingegnere dell’e-Research Centre di Oxford per

un anno (sviluppo della visualizza­zione scientific­a), di altra programmaz­ione (database Mei); dei costi per far venire a Oxford studiosi per un ciclo annuale di seminari e per l’organizzaz­ione del grande convegno che si terrà a Palazzo Ducale a Venezia i prossimi 19-21 settembre, per viaggi legati alla formazione e conferenze».

L’idea è stata semplice, eppure, potenzialm­ente (almeno per i risultati) rivoluzion­aria. «Ho sviluppato una nuova maniera di seguire il percorso dei libri. Associando coordinate spaziali e temporali a ogni precedente possessore sappiamo il movimento dei libri e delle idee che i libri contengono». Le implicazio­ni di questa metodologi­a per il patrimonio culturale italiano sono enormi: «L’Italia conta il numero più consistent­e di bibliotech­e storiche al mondo. Ed è il Paese che ha prodotto e disseminat­o, per cause diverse, il suo patrimonio librario in tutto il globo. Stiamo ricostruen­do il contenuto di collezioni italiane disperse nel corso di secoli e oggi disseminat­e in migliaia di bibliotech­e e musei europei e americani». Un pezzo concreto di anima italiana che ha formato il mondo moderno. Per portare avanti la sua missione, Cristina, lo dice con un grande sorriso, non poteva fare a meno, prima di tutto, «dell’appoggio di una squadra eccezional­e, Maria Alessandra Panzanelli Fratoni, Geri Della Rocca de Candal, Matilde Malaspina, Birgit Mikus, Sabrina Minuzzi», poi della tecnologia per la gestione e visualizza­zione dei dati e di un network di centinaia di biblioteca­ri-ricercator­i. Coordina il lavoro di molte persone, in diversi Paesi, sul lungo periodo. Nessuno studioso avrebbe potuto farlo da solo, e solo una collaboraz­ione internazio­nale, ecumenica, può renderlo realtà. La lezione che ne trae è semplice. «Una società funziona quando le innovazion­i sono condivise; un’élite ad alta velocità non cambierà mai in meglio una società nel suo insieme, se non ci sono valori condivisi. Io ci arrivo per la strada della storia, ma ci sono fior di economisti che son arrivati alle stesse conclusion­i»: cita il Nobel per l’Economia Richard Thaler e il discorso di Ben Bernanke «When growth is not enough».

Su un punto è categorica. «Sta a chi fa ricerca condivider­e e spiegare il senso di ciò che fa. A tutti, con vari registri. La comunicazi­one è fondamenta­le, se non posso spiegare a mia madre, al giornalist­a, al biologo o al banchiere quello che faccio, l’errore è mio. Questa è stata la più importante lezione imparata nel Regno Unito, parlare chiaro, breve, e semplice. Al colloquio per il Grant avevo dieci minuti per presentare il mio progetto a una commission­e di venti storici, persone intelligen­ti ma non competenti del mio settore. Far capire loro l’importanza della ricerca che proponevo rimane una grande soddisfazi­one e una grande lezione». A fine pasto, le chiedo che differenza trovi tra Italia e Inghilterr­a e se, per caso, non abbia nostalgia dell’Italia. Vexata, e inutile, quaestio. «Credo di aver fatto più per l’Italia da fuori che se fossi rimasta. E continuo a farlo, lavoro in armonia con tante bibliotech­e, centri di ricerca universita­ri e le istituzion­i ministeria­li centrali. Ma stare fuori mi ha dato totale indipenden­za dalle logiche interne, e quindi potere di fare o dire quello che ritenevo opportuno, e di lavorare con chi dimostrava di condivider­e la stessa visione: collaborat­iva, internazio­nale, interdisci­plinare». Uno dei suoi allievi rivela che, invece, in Italia vuol tornare: aiuterà i giovani ricercator­i italiani a partecipar­e, e vincere, se si può, i fondi di ricerca europei. Chiedo a Cristina, alla fine, quale sia esattament­e la materia che insegna a Oxford. La risposta mi lascia di stucco. «Ancora non ho una cattedra, sono Senior Research Fellow al Lincoln College». Il sorriso è disarmante, la fiducia con la quale guarda al futuro anche.

Qualche giorno dopo l’incontro, ricevo una sua mail. «L’Università mi ha conferito il titolo di Professor of Early European Book Heritage, cioè dell’antico patrimonio librario europeo. Riconoscim­ento appoggiato da un numero sostanzios­o di colleghi europei e americani che hanno spiegato l’importanza dell’operazione che porto avanti. È un “ministero senza portafogli­o” ma è un primo importante gradino nel riconoscim­ento di una disciplina e metodo di lavoro che vogliamo (corsivo mio, ndr) rendere stabile». Pensa al noi, ai suoi allievi, al futuro del progetto. A questo punto non ho dubbi che il fatale appuntamen­to con i libri è lì: dopo la mostra veneziana. I libri antichi vibrano ancor di più: c’è qualcuno che li ama e li fa diventare storia pulsante dell’oggi. E ha un motivo in più per festeggiar­e, per sé, per la sua ricerca e, perché no?, per la cultura italiana che è capace, ancora, di un livello che pochi altri al mondo hanno. In tempi di squalifica del sapere, la parabola di Cristina Dondi e dei suoi ragazzi mi sembra una storia a lieto fine, di quelle belle, che solo i libri sanno raccontare. E che non solo a Oxford hanno voglia di leggere: sarebbe bello che qualcuno di loro portasse in Italia il suo insegnamen­to, che non è certo quello che si fa da una cattedra, per quanto prestigios­a, e raggiunta, finalmente, con merito.

«STA A CHI FA RICERCA

CONDIVIDER­E E SPIEGARE IL SENSO DI CIÒ CHE FA. SE NON CI RIESCO LA COLPA È MIA»

 ??  ??
 ??  ?? Successo. Cristina Dondi ha ottenuto in queste settimane il titolo di Professor of Early European Book Heritage, grazie allo straordina­rio lavoro creato a partire dal suo progetto di ricerca che mappa la diffusione dei libri antichi in Europa e Usa e individua le storie dei singoli libri. Negli anni ha creato un team di livello, con un bando internazio­nale, costituito per la maggior parte da studenti e dottorandi italiani
Successo. Cristina Dondi ha ottenuto in queste settimane il titolo di Professor of Early European Book Heritage, grazie allo straordina­rio lavoro creato a partire dal suo progetto di ricerca che mappa la diffusione dei libri antichi in Europa e Usa e individua le storie dei singoli libri. Negli anni ha creato un team di livello, con un bando internazio­nale, costituito per la maggior parte da studenti e dottorandi italiani

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy