Lindsay Kemp mimo di illusioni
Mary Wollstonecraft Godwin ha vent’anni quando, nel 1817, termina Frankenstein: or, The Modern Prometheus, pubblicato anonimo l’anno dopo. Nonostante l’età, ha già molto vissuto. Figlia di William Godwin, politico repubblicano e filosofo tardo-illuminista, e di Mary Wollstonecraft, filosofa e protofemminista – morta quando lei aveva dieci giorni –, nel 1814 Mary ha lasciato la casa del padre, fuggendo poi in Francia con un giovane poeta dalle idee radicali. Lo ha sposato alla fine del 1816, due anni prima della pubblicazione del suo libro. Da lui ha avuto una figlia, persa poco dopo il parto. Ha poi frequentato a Ginevra Lord Byron, insieme con John Polidori, introverso medico che nel 1919 pubblicherà il primo Vampiro della letteratura moderna, modellato su Byron (che vampirescamente lascerà credere d’esserne l’autore). Libera nella mente, lo è anche nel sesso. Si ipotizza abbia amato Thomas Jefferson Hogg, un amico del marito, e proprio su sua richiesta. Molto altro ha fatto, prima del 1818. E però la sua complessità va quasi del tutto perduta in Mary Shelley – Un amore immortale (Mary Shelley, Usa, 2017, 100’).
Per raccontarne gli anni della prima giovinezza e della for-mazione letteraria, dunque, Haifaa AlMansour e la cosceneg-giatrice Emma Jensen hanno tagliato i particolari che ritenevano secondari, e ne hanno aggiunti altri di fantasia (un editore ritiene sconveniente pubblicare il libro della “compagna” di Percy Bysshe Shelley, con cui invece è sposata da un anno). Stiamo dunque alla sceneggiatura, come è stata scritta.
Mary è una giovanissima donna intelligente e libera. Così l’ha cresciuta il padre. Quando incontra Percy se ne innamora perdutamente, come si suppone facciano le giovanissime donne. Anche lui la ama, ma come si suppone facciano gli uomini, giovani o meno giovani: pensando a sé più che a lei. Il loro menage è irto di ostacoli, anche economici e giudiziari. Percy è troppo poeta, per curarsi dei conti di casa. Nel frattempo, lei cerca la sua voce letteraria, lontano da quanto hanno già scritto gli altri, come l’ha esortata il padre. L’occasione, come si sa, è un’idea venuta a Byron (Tom Sturridge), nella noia di un’estate piovosa sul lago di Ginevra. Ognuno di noi scriva una storia di fantasmi, propone a lei, a Percy e a Polidori (Ben Hardy). Il migliore sarà premiato. Mentre lo dice, ha i capelli più sconvolti e lo sguardo addirittura più luciferino del suo solito.
Così nasce uno dei più grandi libri sull’essere abbandonati, come giustamente qualcuno dice nel film. Ma la sua nascita è laboriosa e contrastata. Percy le suggerisce di cambiare il finale, rendendolo ottimistico ed edificante. Un messaggio per l’umanità futura, precisa il giovane poeta dalle dee radicali. Ma poi si convince, «va bene anche così». Il libro viene stampato, anonimo e con una sua introduzione. Nella Londra del 1818 non sta bene che una donna
«Mary Shelley - Un amore immortale» di Haifaa Al-Mansour
Elle Fanning è Mary Shelley
scriva, e ancor meno che venga letta.
È pieno di buone intenzioni, Mary Shelley. Con la Jensen, il saudita Al-Mansour ha a cuore sia la grandezza del Frankenstein sia la causa della parità tra maschi e femmine, anche in fatto di creatività. Ma l’aver tagliato la complessità di Mary Shelley, della donna e della scrittrice, e insieme l’averne “migliorato” alcuni tratti per così dire emotivi, hanno fatto di lei poco più d’una giovane donna innamorata. Ovviamente, come si suppone che le giovani donne si innamorino.