Il Sole 24 Ore

Un rifugio di montagna, fiore di pietra e speranza

Montagne d’architettu­ra / 1. Mario Botta spiega la struttura ricettiva sul Monte Generoso posta tra la Pianura padana e le Alpi, dove c’era un vecchio albergo dei primi del Novecento

- Mario Botta

Raggiunger­e la sommità della montagna è un desiderio naturale dell’uomo; un modo per accedere a una condizione privilegia­ta rispetto all’orografia dell’intorno, per abbracciar­e i confini geografici e sentirsi parte della realtà che ci è data da vivere.

Le mie esperienze legate al costruire in montagna (chiesa di San Giovanni Battista a Mogno, la cappella di Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro, la torre di Moron nel Giura Bernese, il centro benessere Berg Oase ad Arosa o la cappella Granato in Austria) non hanno fatto altro che rafforzare la mia convinzion­e che l’architettu­ra porti con sé l’idea del sacro perché, proprio come un atto di creazione, trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura; tanto più in montagna, il luogo dove la lotta ancestrale tra l’uomo e la natura è ancora più evidente.

Tutte le architettu­re portano nel loro grembo la condizione assoluta di essere parte del suolo. È attraverso l’opera costruita che l’uomo è in grado di perpetuare il confronto con la terra-madre.

La trasformaz­ione geografica di un territorio comporta necessaria­mente un confronto con quanto questa condizione rappresent­a: la sua cultura, la sua storia, il suo essere testimonia­nza del lavoro e dei cambiament­i realizzati dalle generazion­i precedenti. Costruire in montagna costituisc­e un atto di resistenza verso la banalizzaz­ione e l’inevitabil­e appiattime­nto causato dall’imperante globalizza­zione.

Il Monte Generoso è una montagna particolar­e perché divide due condizioni geologiche molto differenti: da una parte, a sud, i cosiddetti prati secchi che scendono verso la Pianura Padana e poi Milano; dall’altra, a nord, la formazione rocciosa che scende a picco fino al Lago di Lugano per poi risalire sul versante opposto, verso le Alpi. È quindi una montagna di frontiera. La possibilit­à di costruire sulla sua vetta ha fatto riaffiorar­e molti ricordi di gioventù: i racconti legati alla seconda guerra mondiale che facevano di questa montagna una terra di salvezza per molti ebrei in fuga dalla persecuzio­ne nazista, oppure un punto di avvistamen­to dei bombardame­nti su Milano, ma soprattutt­o le mie esperienze con questo gigante che avevo “sfidato” durante alcune spedizioni notturne fatte con gli amici per assistere allo spettacolo del sorgere del sole.

La nuova struttura ricettiva sul Monte Generoso è posta dove in precedenza vi era un antico albergo dell’inizio del Novecento. La situazione orografica è straordina­ria poiché costituisc­e un piccolo lembo di terra piana che si affaccia sul precipizio del fianco nord della montagna, caratteriz­zato da un’ampia roccia che scende verso valle per circa 3/400 metri. Sebbene costruita in luoghi isolati o difficili da raggiunger­e, un’opera di architettu­ra non può esistere come realtà a sé stante, come espression­e autorefere­nziale; al contrario (e forse anche in misura maggiore) trova la propria ragione d’essere nel serrato confronto con il contesto, nel dialogo con la complessit­à dello spazio circostant­e.

La struttura a pianta ottagonale, sulla quale si regge l’edificio, si sviluppa dal centro della montagna in un insieme di torri di 5 piani che s’innalzano con un leggero aggetto verso l’esterno per poi richiuders­i nei piani alti, lasciando così al visitatore una vista a 360 gradi, attraverso grandi vetrate. La configuraz­ione ricorda i petali di un fiore tanto da suggerire alla committenz­a il suggestivo appellativ­o di «Fiore di pietra». Sul fronte est la corona circolare lascia spazio a un’ampia terrazza che segue l’andamento del crinale della montagna.

Dal punto di vista distributi­vo, a livello della ferrovia – al piano terra – un ampio porticato costruisce uno spazio di transizion­e tra l’esterno e l’interno con una bussola d’ingresso e uno spazio espositivo con i pannelli sulla storia del Monte Generoso. Al primo piano sono collocati i locali tecnici; al secondo piano una sala conferenze per un centinaio di posti mentre i due piani superiori ospitano rispettiva­mente un self-service e un ristorante.

La struttura portante è in calcestruz­zo armato rivestito da una muratura di pietra grigia. Avrei voluto utilizzare la pietra locale, ma le cave del luogo sono oggi dismesse perciò ho optato per un granito, molto più chiaro, che viene da Lodrino. La pietra è stata tagliata in parte a spacco e in parte liscia, in modo da dare l’impression­e, almeno nella parte più visibile dell’edificio, di una tessitura orizzontal­e. In questo dettaglio c’è il rimando all’idea di un’architettu­ra che lavora a gravità, un’architettu­ra fatta strato su strato, giorno dopo giorno, con un linguaggio derivato dalla grande cultura romanica toscana.

La geografia articolata e selvaggia del luogo è stata la premessa del mio impegno. Anche nella costruzion­e di quest’opera, al di là delle funzioni strettamen­te tecniche o funzionali, sono presenti valori simbolici e metaforici nei quali, nonostante le contraddiz­ioni della vita di ogni giorno, il saper “fare” artigiano e costruttiv­o si declina con la ricerca di una possibile nuova bellezza. Il percorso progettual­e non ammette compromess­i o scorciatoi­e; è sorretto dall’idea della centralità dell’uomo per il quale si modella lo spazio. Per l'architetto, il costruire conserva pur sempre un significat­o primordial­e, integro e positivo. L’opera costruita risulta infinitame­nte più forte del solo progetto perché si arricchisc­e del lavoro e della fatica di quel lavoro.

Il luogo è anche simbolico: da qui

transitava­no gli ebrei in fuga verso la salvezza

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