Per un socialismo non marxista
Il vecchio e il giovane, protagonisti di un affascinante carteggio nel cuore degli anni Settanta, ben curato e introdotto dallo storico Giovanni Scirocco. Il vecchio è Virgilio Dagnino (1906-1997), banchiere libertario, già allievo di Carlo Rosselli all’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Genova. Il giovane è Luciano Pellicani, un sociologo di belle speranze, nato nel 1939 da una famiglia napoletana comunista, laureatosi con una tesi su Gramsci («Mi convinsi che il comunismo non era una buona idea nata male. Era proprio un’idea sbagliata») e oggi professore emerito alla Luiss. Quando nel febbraio ’75 i due cominciano a scambiarsi lettere, il loro partito – il Psi – è in crisi acuta. Dopo la batosta alle elezioni del giugno ’76 (meno di un terzo dei voti del Pci, al suo massimo storico), Bettino Craxi s’imporrà come nuovo segretario di una forza politica inconsistente.
Che fare, di fronte al declino del socialismo italico? Occorre non soltanto rifondare il partito, ma anche rinnovarne la cultura. Di questo discutono animatamente il banchiere milanese e il sociologo romano, in missive ric
chissime di nomi e di letture. Mentre
la via italiana al comunismo incarnata da Enrico Berlinguer è al suo fulgore, in questo carteggio affiorano l’«obsolescenza delle ideologie» (per citare il titolo di un vecchio libro di Dagnino), la necessità di un «socialismo di mercato» in grado di correggere il «capitalismo assistenziale», la «pigrizia mentale» degli intellettuali organici al Pci.
È un colloquio stimolante, essendo i due amici di penna «abbastanza vicini e lontani per dialogare con profitto», come spiega Pellicani al suo interlocutore. «Vicini» sull’obiettivo finale: «una società libera, pluralista, progressista, gradualista, dove l’idea del gulag sia inconcepibile». «Lontani» sul come arrivarci. Pellicani auspica un superamento definitivo del marxismo messianico e palingenetico, in favore di un «socialismo pragmatico, che promette poco, ma che può mantenere le sue promesse. Su questa linea si sono mossi Bernstein, Russell, Rosselli e Salvemini». Dagnino, invece, non vuole buttare via il bambino (l’utopia) con l’acqua sporca (la sua degenerazione dogmatica). A suo parere, non di sola algida ragione vive l’uomo, ma anche di passioni e di speranze. Al che Pellicani gli replica: «Non voglio punto negare l’importanza e la funzione positiva del pensiero utopico, il quale è il sale del socialismo. Però quando c’è troppo sale, si sa, la minestra diventa immangiabile».
Nel frattempo, la stella di Pellicani inizia a brillare: «La congiura del silenzio intorno al mio nome è finita», annuncia il 4 giugno 1977: «Ora anche i comunisti mi citano, per dissentire, ovviamente. Ma è significativo che si sentano costretti a fare i conti con le mie tesi». La consacrazione giunge a fine agosto ’78, allorché l’«Espresso» pubblica un lungo articolo, intitolato
Il Vangelo socialista. Firmato da Bettino Craxi, in realtà è stato redatto da Pellicani e riprende, in modo più prolisso, molti dei temi già affrontati da lui e Dagnino nelle loro conversazioni epistolari. Il Vangelo craxiano fu un sasso nello stagno. Riscoprendo Proudhon, che scorgeva nel comunismo un’«assurdità antidiluviana», annunciava infatti la buona novella di un socialismo non marxista, proiettato verso il nuovo decennio. Per il sociologo ghostwriter di Craxi, è il definitivo trampolino di lancio: «Questa notorietà che mi è piovuta addosso mi sta distruggendo», scrive all’amico a fine anno.
Nell’ultima lettera del decennale carteggio (5 febbraio 1985), con Craxi saldamente a Palazzo Chigi da un anno e mezzo, Pellicani lamenta la crescente vulnerabilità dei socialisti «sulla questione morale (troppi assessori corrotti, questa è la tragedia)». Erano le prime avvisaglie dell’inglorioso cupio dissolvi politico e affaristico del Psi, certificato nel 1992 da Tangentopoli. Oggi, non si può non avvertire il baratro tra la «poesia» delle idee scintillanti (spesso giuste e sacrosante) di questo epistolario e la «prosa» degli uomini poi chiamati a inverarle. Forse non è un caso se buona parte dei compagni di strada qui menzionati (ma non Pellicani) diventeranno armigeri di Berlusconi. Del quale tutto si può pensare, ma non che abbia mai avuto alcuna consuetudine con Bernstein, Russell, Rosselli e Salvemini. IL VANGELO SOCIALISTA. RINNOVARE LA CULTURA DEL SOCIALISMO ITALIANO Bettino Craxi, Virgilio Dagnino e Luciano Pellicani a cura di G. Scirocco, Nino Aragno, Torino, pagg. LVII-230, € 18