Melantone e i «Loci communes»
Una nuova edizione (con testo latino a fronte) del celebre trattato pubblicato nel 1521 (e poi nel 1533-35, 1543-45) dedicato ai concetti fondamentali della teologia protestante: peccato, legge e grazia
Aveva trasformato il suo cupo cognome tedesco Schwarzerdt («Terranera») nella più nobile versione grecizzante Melanchton, come era d’uso nell’epoca rinascimentale. La sua biografia si è intrecciata fortemente con quella di Lutero del quale fu amico (anche critico) ed estimatore ricambiato. Stiamo parlando del riformatore protestante Filippo Melantone, nato nell’attuale Baden nel 1497 e morto nel 1560 a Wittenberg, il cuore del luteranesimo, ove aveva sposato la figlia del borgomastro di quella città, Katharina Krapp. La nostra attenzione, però, punta ora su quello che è considerato il
suo capolavoro, i Loci communes
rerum theologicarum, pubblicati per la prima volta nel 1521 e poi ripetutamente rielaborati nel 1533-35 e nel 1543-45.
Lutero, che non era poi così generoso con le opere altrui, nel famoso saggio polemico con Erasmo da Rotterdam, Il servo arbitrio del 1525, non esitava a scrivere questo paragrafo: «Mi sembra superfluo rispondere ai tuoi argomenti [di Erasmo] – già da me confutati in passato varie volte – che sono stati calpestati e del tutto polverizzati da Filippo Melantone nei suoi Loci communes, opera a mio giudizio insuperabile, degna non solo dell’immortalità, ma della considerazione dovuta al Canone ecclesiastico. Al confronto il tuo libro mi è parso così indegno e povero che ti ho vivamente compatito». Lutero, dunque, riconoscendo un primato allo scritto melantoniano, lo impugnava per menare fendenti su un personaggio come Erasmo che, in realtà, gli stava alla pari per genialità e acutezza.
Per l’impegno di un’importante e compianta storica della filosofia dell’università di Pavia, Fiorella De Michelis Pintacuda (1940-2008), i Loci appaiono ora nella collana delle «opere scelte» di Melantone, col testo latino a fronte, con una puntuale guida preliminare di Stefania Salvadori, ricercatrice a Gottinga in Germania, e con un saggio finale della stessa De Michelis. Melantone era giunto poco più che ventenne a Wittenberg per occupare la cattedra di greco. Ben presto, però, il suo orizzonte accademico si era allargato anche all’ebraico e all’esegesi biblica e la sua mente e il suo cuore si erano orientati pienamente verso il nuovo messaggio della Riforma alla quale si sentiva pronto a offrire un suo contributo.
Sono appunto i Loci communes
(qui presentati nell’edizione primigenia del 1521), laddove il termine latino loci riveste una tipica accezione teologica: si tratta, cioè, dei concetti fondamentali della teologia, nella fattispecie «la forza del peccato, la legge, la grazia». Siamo, quindi, di fronte a un’opera che si colloca nel crocevia rovente dello stesso confronto dialettico di Lutero con Erasmo. Naturalmente la trilogia sopra indicata si ramifica poi in una costellazione di corollari, come i sacramenti, la legislazione canonica, il valore dei pronunciamenti conciliari e del magistero papale, i voti monastici e altro ancora.
Rimane, comunque, significativo nello scritto il dosaggio tra il rigore sistematico teologico e l’efficacia didattica, dato che si tocca l’anima dell’annuncio neotestamentario. Esso esige che si eviti la caduta in «dissertazioni fredde e aliene da Cristo».
Il fondamento di questo, che potremmo considerare quasi il primo manuale di teologia protestante, è la Lettera ai Romani di san Paolo, naturalmente illuminata secondo un angolo di visuale che diverrà classico nella Riforma. Il modello antropologico è netto: alla radice del cuore, della volontà, dell’anima umana pulsa un’irrefrenabile tendenza la peccato.
È un’«imperscrutabile malvagità» vanamente sanata – secondo la tradizionale teologia scolastica – dalla «giustizia delle opere e delle virtù filosofiche», mentre è necessario ribadire che «tutti siamo sicuramente peccatori e siamo giustificati solo tramite la fede in Cristo». La legge stessa ha solo la funzione di rivelarci il nostro peccato, è impotente a salvarci ed è solo un indice puntato verso la misericordia liberatrice del Padre celeste. È soltanto attraverso la fede, che accoglie la grazia divina donata a noi in Cristo, che si compie l’espiazione e la nostra risurrezione.
Il regno della grazia, ottenuta credendo e affidandoci a Cristo, diventa la vera Chiesa di Dio che non ha nulla a che spartire con l’ecclesiologia istituzionale papale. Come osserva giustamente la Salvadori nella sua premessa, «i Loci communes rappresentano per la nascente Riforma non solo una prima sistematizzazione e introduzione teologica alla fede evangelica, ma anche un manifesto “politico”, ossia una dichiarazione di identità e una presa di coscienza contro Roma». Tanto altro, naturalmente, è contenuto in queste pagine: ad esempio, è suggestiva la teoria degli affetti che Melantone elabora rivelando squarci primordiali di psicologia, aperti sulla coscienza umana ma anche sul retroterra inconscio.
L’opera in oggetto, con la successiva Confessione augustana
(1530), costituisce, dunque, una pietra miliare non solo della teologia protestante ma anche uno snodo nella cultura occidentale. Interessante, al riguardo, è l’uso della retorica che riesce a rendere fremente l’argomentazione, liberandola dalle pastoie delle dispute anche a costo di ricorrere al paradosso.
Basti solo questa citazione desunta dall’explicit del testo: «Ritengo che i commentari [biblici] degli uomini siano da rifuggire come peste nelle questioni sacre, poiché la dottrina dello Spirito può essere tratta nella sua purezza solo dalla Scrittura. Chi infatti potrà esprimere meglio lo Spirito di Dio di quanto non possa fare lui stesso?».
Una nota in appendice. Melantone, nonostante il suo impegno per identificare e tutelare lo spirito genuino della dottrina luterana, ebbe anche il desiderio di smussarne certi spigoli troppo radicali. È per questo che contro di lui si accese una contestazione interna piuttosto aspra. Egli tentò di placarla e rintuzzarla in incontri ufficiali, come i colloqui di Worms del 1557 e il sinodo di Francoforte del 1558. Ma i suoi sforzi concilianti non approdarono a nulla e la morte, dopo breve malattia, nel 1560 lo colse ancora amareggiato per le divisioni che già laceravano le comunità protestanti.
Martin Lutero
usava il testo melantoniano per confutare le tesi di Erasmo
LOCI COMMUNES RERUM THEOLOGICARUM (1521)
Filippo Melantone a cura di Fiorella De Michelis Pintacuda e Stefania Salvadori, Claudiana, Torino, pagg. 464, € 35