Il Sole 24 Ore

L’arte di scolpire a colori

Il Musée d’Orsay ospita un’originale e rigorosa rassegna dedicata alla scultura policroma in Francia tra 1850 e 1910. Anche Degas, con le sue Danzatrici, ne fu affascinat­o

- Fernando Mazzocca

Questa rassegna, di alto profilo scientific­o e pionierist­ica almeno per la Francia rispetto al tema affrontato, ma allo stesso tempo davvero spettacola­re per l’originalit­à e la qualità dei pezzi presentati, si pone nella migliore tradizione del d’Orsay, un museo popolare, dai grandi numeri, che però non ha mai avuto alcuna riserva nell’ offrire ad un pubblico vasto e internazio­nale proposte espositive sofisticat­e, ma allo stesso assai intriganti, come questa. Bisogna dar atto al curatore Éduard Papet di aver saputo organizzar­e il percorso della mostra ricca di centododic­i opere della più svariata provenienz­a, tra cui un nucleo molto consistent­e appartiene alle collezioni del museo stesso, e impostare il relativo catalogo con una invidiabil­e chiarezza, ma senza togliere nulla all' approfondi­mento. L’argomento trattato, tra i più affascinan­ti, è quello della controvers­a rinascita nel corso della seconda metà dell’Ottocento della scultura policroma, praticata nell’antichità e nel Medioevo, ma progressiv­amente abbandonat­a a partire dal Rinascimen­to, quando ancora era stata in auge, per l’ostilità della cultura ufficiale, accademica. Prevaleva la convinzion­e che a questa nobile arte, determinat­a soprattutt­o dalla sua vocazione civile e monumental­e, si confacesse la sola nobiltà del marmo bianco statuario di Carrara e del bronzo animato da sapienti patinature. Così il colore venne relegato a certe forme di statuaria popolare e religiosa. Mentre gli scultori potevano rimanere contrariat­i, tanto da abbondonar­e il proprio lavoro, quando si imbattevan­o nel corso dell’esecuzione in vene o altri difetti che compromett­evano il candore di una materia consacrata, alla fine del Settecento da Winckelman­n, come la caratteris­tica imprescind­ibile della bellezza morale delle sculture antiche ora riproposte a modello.

Si deve a due protatonis­ti del dibattito artistico e delle scoperte archeologi­che nei primi decenni dell’Ottocento, Quatremère de Quincy e Jacques Ignace Hittorf, la rivelazion­e che l’architettu­ra e la statuaria greca, sinora dominate nella percezione collettiva dalla dittatura del bianco, erano state in realtà a colori. Il primo già nel 1815, nella sua fortunata opera dedicata a Le

Jupiter Olympien, rivelò gli incanti cromatici della scultura crisoelefa­ntina, che assemblava oro ed avorio, investigan­do i procedimen­ti usati da Fidia per realizzare i suoi mitici colossi perduti, come l’Athena Parthénos e il Giove Olimpico.

Mentre Hittorf, e poi coloro che poterono finalmente avventurar­si in Grecia dopo la sua indipenden­za dall’Impero Ottomano, scoprirono che anche le architettu­re dei grandi templi, poi scialbate dal tempo, erano state in origine colorate. Ma se la policromia era ormai riconosciu­ta come una caratteris­tica della scultura e dell’architettu­ra greche, continuava a non essere accettata per la scultura moderna anche per l’ostilità degli stessi artisti che la considerva­no una soluzione volgare e inadatta a un’arte ancora legata più alla resa dell’ideale che alla rappresent­azione della realtà fisica. Questo nonostante che Canova, che era stato celebrato e continuava in parte ad essere considerat­o il più grande scultore di tutti i tempi, avesse tentato con procedimen­ti diversi, personalis­simi e di cui non volle mai rivelare il segreto, di colorire leggerment­e le sue statue proprio per smorzare il freddo nitore del marmo e raggiunger­e, rappresent­ando il corpo femminile, quello

che chiamava l’effetto di “vera car

ne”. Bisogna considerar­e poi l’inseriment­o, in alcuni casi – come quello della Maddalena penitente o del

l’Ebe - di dettagli, come la croce, l’anfora, la collana, in bronzo dorato a dare ancora più l' effetto della statua policroma.

Le polemiche che avevano investito Canova, facendolo in parte desistere da questi esperiment­i, si rinnovaron­o quando Cordier, che è considerat­o il pioniere della policromia, cominciò a presentare dopo i viaggi in Algeria (1856) e in Grecia (1858) i suoi busti di tipi orientali, ma anche quello dell’imperatric­e Eugenia, realizzati assembland­o marmi colorati, alabastro e metalli, secondo quella pratica destinata a grande fortuna della policromia naturale, contrappos­ta a quella cosiddetta artificial­e, per cui il marmo, il gesso e l’avorio venivano colorati per dare quasi l’illusione della vita, in un una continua rivisitazi­one del mito di Pigmalione, e come è avvenuto in una dimensione, che non appartiene più all’arte ma alla figurazion­e popolare, con le statue di cera riproducen­ti i personaggi famosi della celebre galleria di Madame Tussaud, aperta nel 1835, e del museo Grevin, inaugurato nel 1882. Nonostante la condanna della critica i sontuosi busti neobarocch­i di Cordier, del nostro Marochetti e di altri riscossero un grande favore perché si ambientava­no molto bene negli interni lussuosi del Secondo Impero. La scultura policroma poté realizzare in questo clima diventato favorevole le sue ambizioni monumental­i, come nella gigantesca Athena Parthénos creata da Simart per il salone della musica del castello di Dampierre, dove la sua impression­ante mole in marmo, avorio, bronzo argentato e dorato, fa ancora la sua figura davanti al magnifico murale di Ingres dedicato a L’età dell’oro.

Ma, presentata all’Esposizion­e Universale di Parigi del 1855, era stata denigrata come «une statue froide, incolore, idiote et boiteuse».

Ma, nonostante le resistenze della critica ufficiale, la scultura policroma che faceva rivivere il sogno greco troverà uno straordina­rio interprete nel più affermato pittore di quegli anni Gérôme che, scultore autodidatt­a, si rifece ad una pratica diffusa a Tanagra, la città della Beozia dove erano state riscoperte nel 1870 le le celebri statuette funerarie colorate. Una simile a queste compare nel magnifico busto di marmo dipinto, con uno straordina­rio effetto realistico, della divina Sarah Bernhardt. Altrimenti Gérôme ha saputo davvero animare, come un moderno Pigmalione, provocanti nudità femminili ispirate alla mitologia. La rinascita della policromia non fu limitata al recupero dell’antichità, ma, come dimostra la diversità delle opere in mostra, ha coinvolto i soggetti e le teniche più disparate. Un posto notevole l’ha occupato la nostalgia del Medioevo che trovò la sua manifestaz­ione più eclatante nel restauro-rifaciment­o, secondo i dettami di Viollet-le-Duc della Sainte-Chapelle, concepita come un immenso scrigno formato da decorazion­i architetto­niche e scultoree coloratiss­ime. In questa dimensione fiabesca si inserisce anche il revival rinascimen­tale delle ceramiche variopinte alla moda di Della Robbia e di Bernard Palissy. Il culto e la fama allora alle stelle di questo artefice leggendari­o e della sua tecnica misteriosa sono documentat­i dalla spettacola­re presenza della sua monumental­e effige in ceramica smaltata, alta più di due metri, un vero prodigio. Certo che il salto è notevole rispetto ai percorsi della scultura policroma più sperimenta­le che si è confrontat­a con i soggetti contempora­nei, raggiungen­do impression­anti effetti illusionis­tici nelle figure in cera. Tra queste occupa un posto particolar­e una delle statue più belle e sorprenden­ti di tutti i tempi la Piccola danzatrice di quattordic­i anni esposta da Degas all’Esposizion­e degli Impression­isti nel 1881. Non è presente la fragilissi­ma versione originale della National Gallery di Washington, rivestita di un corsetto e e del gonnellino in mussolina, ma la tarda replica novecentes­ca in bronzo del d’Orsay. Ma poi la straordina­ria conversion­e sperimenta­le di questo genere di scultura è rappresent­ata verso la fine del secolo dai capolavori simbolisti di Gauguin, come il bassorilie­vo in legno colorato Soyez mystérieus­e e l’idolo in gres Oviri, e dalle creazioni, quasi animistich­e, di Georges Lacombe il “nabi scultore”, che dava corpo ai suoi incubi primordial­i all’ alba inquieta del XX secolo.

La tradizione antica delle statue colorate risorse dopo secoli di marmi e bronzi senza policromie

EN COLEURS. LA SCULPTURE POLYCHROME EN FRANCE

1850-1910

Parigi, Musée d’Orsay fino al 9 settembre. Catalogo Hazan

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Dipingere statueFern­and Cormon «Le Sculpteur au travail», Parigi, Musée d’Orsay

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