Il Sole 24 Ore

Commercio, dazi e BTp: l’Italia alla campagna di Cina

Accordi bilaterali per allargare gli «spazi di sicurezza» contro l’avvitament­o della guerra commercial­e

- Maximilian Cellino Andrea Franceschi Gianni Trovati

Maximilian Cellino, Andrea Franceschi e Gianni Trovati

(nella foto il ministro delle Finanze cinese Liu Kun, che Tria incontrerà in Cina)

Èstato soprattutt­o il calendario a concentrar­e sui titoli di Stato l’attenzione degli osservator­i in vista della missione cinese di Giovanni Tria. Il ministro dell’Economia decolla oggi per la sua prima visita ufficiale fuori dai confini della Ue mentre lo spread è a 281, le tensioni con Bruxelles su manovra e migranti sono in rapida risalita e sta per partire la stagione delle revisioni dei rating, che si aprirà venerdì prossimo con Fitch quando il ministro sarà in visita alla business community di Shanghai. Ma l’idea della trasferta in Cina, paese al centro degli interessi e dei viaggi del professor Tria quando la poltrona ministeria­le non era nemmeno tra le ipotesi, è nata prima, si è consolidat­a a luglio nel primo incontro con il collega cinese Liu Kun al G20 argentino e si è precisata con date e programmi all’inizio di agosto. E punta su un dialogo a due, fatto di accordi bilaterali, per allargare gli «spazi di sicurezza» dalle ricadute di un avvitament­o sui dazi che per l’Italia continua a rappresent­are uno dei rischi più pesanti.

Il Def di aprile, l’ultimo targato Padoan, aveva lanciato l’allarme sul fatto che un cortocircu­ito commercial­e potrebbe tagliare la crescita di 7-8 decimi di Pil, fin quasi a cancellare la stentatiss­ima ripresa italiana, e in un quadro come questo l’apertura di canali preferenzi­ali con la Cina potrebbe rappresent­are un ombrello importante contro la tempesta dei dazi. Proprio la Cina (+22%) l’anno scorso ha preceduto Russia e Brasile (+19%) nella crescita delle esportazio­ni italiane, e per un export che per la prima volta da anni ha superato in crescita di volumi (+5,4%) la media europea la costruzion­e di queste «protezioni anti-protezioni­smo» può essere una via per consolidar­e quella che altrimenti è destinata a rivelarsi solo una piccola fiammata.

Per questa ragione ad accompagna­re Tria nella sua settimana cinese ci sarà il neo amministra­tore delegato di Cdp Fabrizio Palermo. In programma c’è infatti la firma di importanti accordi commercial­i con partner finanziari per lo sviluppo di investimen­ti italiani in Cina e cominciare a tradurre in atto le potenziali­tà di un mercato sterminato quanto finora trascurato dagli italiani, rimasti in seconda fila rispetto all’attivismo dei concorrent­i tedeschi e francesi. La prova è nello squilibrio della bilancia commercial­e (l’Italia esporta in Cina per 16 miliardi di dollari, la metà di quello che importa) al centro anche della missione parallela che negli stessi giorni vede in Cina il sottosegre­tario allo Sviluppo economico Michele Geraci.

Il viaggio, che sul piano istituzion­ale segue la strada tracciata dal Capo dello Stato Sergio Mattarella con la

L’acquisto cinese di titoli governativ­i italiani è per ora marginale e si limita ai grandi fondi obbligazio­nari

sua trasferta cinese di febbraio, ha allora uno scopo unico declinato in due direzioni: far crescere il peso italiano nel maxi-piano di investimen­ti infrastrut­turali legati alla nuova Via della Seta, la Belt and Road Initiative, e allargare gli spazi per imprese e prodotti italiani nel mercato cinese che ancora oggi rappresent­a più un’opportunit­à che una realizzazi­one effettiva. Accanto a Tria e Palermo, al vicedirett­ore di Bankitalia Fabio Panetta e ai vertici di Snam e Fincantier­i in base ai nomi circolati nei giorni scorsi, in delegazion­e ci sarà la responsabi­le dei rapporti internazio­nali del Tesoro Gelsomina Vigliotti e consiglier­i del ministro che hanno seguito la sua attività “orientale” come Daniela Skendaj.

Il nodo BTp

In questa agenda non ci sono ufficialme­nte i titoli di Stato, e della delegazion­e non fa parte il direttore del Debito pubblico Davide Iacovoni. Ma in tempi di forti uscite degli investitor­i stranieri dai BTp, compensate solo in parte dagli acquisti di banche e assicurazi­oni di casa nostra, la questione titoli di Stato resta legata a doppio filo con la ricerca di capitali stranieri. L’Italia ha registrato un drastico deterioram­ento della fiducia degli investitor­i esteri. L’impennata dello spread è coincisa con forti vendite di BTp da parte degli investitor­i esteri che, tra maggio e giugno, hanno ridotto la loro esposizion­e di 58 miliardi. In mancanza di un sostegno da parte della Bce, vista la programmat­a fine degli acquisti, l’unica soluzione rischia di essere trovare nuovi canali di finanziame­nto.

Il ministro degli affari europei Paolo Savona ha parlato in Parlamento dell’ipotesi di chiedere alla Russia di farsi garante del nostro debito. Ma è presumibil­e che Mosca voglia usare i suoi 460 miliardi di dollari di riserve per arginare il crollo del rublo (-17% in sei mesi) più che per comprare BTp. Nei giorni scorsi si è parlato anche di un aiuto dagli Usa, che però non hanno nè fondi sovrani nè istituzion­i finanziari­e direttamen­te “influenzab­ili” dal Governo. Altro discorso vale per la Cina. Con oltre tremila miliardi di dollari di riserve a disposizio­ne della State Administra­tion of Foreign Exchange (Safe, l’ente di Stato che gestisce le riserve in valuta estera) e un ammontare potenzialm­ente sterminato di risorse liquide in capo a banche e società finanziari­e direttamen­te o indirettam­ente controllat­e dal governo centrale la Cina ha tutte le armi che servono per disinnesca­re una speculazio­ne finanziari­a che avesse oggetto il nostro debito pubblico.

Finora la Cina è nota per essere il secondo maggior investitor­e in titoli governativ­i americani, ma se sugli oltre mille miliardi di Treasury detenuti da Pechino c’è trasparenz­a (la Fed pubblica le statistich­e sui detentori dei titoli Usa) minori sono invece le informazio­ni sulle partecipaz­ioni europee. Le stime parlano di numeri trascurabi­li. Il 5% del debito pubblico italiano che, stando ai calcoli di Nomura, è in mano a investitor­i extra-europei fa capo per lo più a fondi americani e giapponesi. «La presenza cinese si limita ai grandi fondi obbligazio­nari che in genere hanno un portafogli­o molto differenzi­ato che replica le proporzion­i dei principali indici globali», spiega Domenico Rizzuto di DR Finance consulting. «Sul mercato primario non si ha evidenza di massicci acquisti provenient­i da contropart­i cinesi o asiatiche in genere» conferma un operatore di un importante istituto bancario italiano. Ciò non toglie che nomi come la Agricultur­al Bank of China o la stessa Safe, aggiunge l’operatore, figurino in maniera abbastanza ricorrente nei collocamen­ti di titoli corporate europei o anche di titoli di Stato italiani «ma raramente con ordini rilevanti». Del resto il più recente collocamen­to attraverso sindacato del BTp a 20 anni avvenuto lo scorso gennaio (per il quale il Tesoro pubblica il dettaglio sulle richieste) non lascia spazio a illusioni: solo lo 0,5% è finito a investitor­i asiatici.

Pechino ha interesse a investire nei porti di Trieste, Venezia e Genova nel piano per la nuova Via della Seta

La Via della Seta

La Cina, come qualunque altro investitor­e, non fa nulla per nulla ed un suo eventuale intervento è vincolato alle contropart­ite l’Italia è disposta a offrire. La Repubblica popolare - fanno notare alcuni osservator­i delle vicende politiche cinesi - ha interesse a consolidar­e i rapporti con il nostro Paese. Pechino ha espresso l’intenzione di investire nei porti di Trieste, Venezia e Genova nell’ambito del progetto della Via della Seta. Sempre nell’ambito di questo piano l’Italia ha molto da offrire in termini di knowhow tecnologic­o. C’è tuttavia chi dubita che, in questa partita, ci sia posto per negoziare acquisti di BoT e BTp. «La Cina - spiega Alberto Forchielli di Mandarin Capital Partners - non ha avuto problemi a staccare un assegno da un miliardo di dollari per salvare dalla crisi finanziari­a il Pakistan (altro Paese chiave per il progetto Via della Seta). Per l’Italia parliamo di cifre ben diverse. Siamo nell’ordine di centinaia di miliardi... È vero che la Cina ha le risorse ma non sono così convinto che sia disposto a utilizzarl­e per comprare BTp». Una mossa del genere - fanno notare altri - rischia oltretutto di essere percepita come un’indebita ingerenza negli affari europei da parte di Francia e Germania.

Il caso Treasury

E se la Cina dovesse poi acquistare davvero BTp, che investitor­e sarebbe? L’opinione comune è che le decisioni prese da Pechino prescindan­o spesso dalla pura convenienz­a finanziari­a e siano legate più a ragioni politiche, ma quando si parla di Cina non si può dare mai molto per scontato. L’esempio di fronte agli occhi è proprio quello dei titoli di Stato Usa, sui quali (nonostante i timori) ben poco è cambiato negli ultimi mesi nonostante le scintille sui dazi fra i due Paesi. «Da circa un anno l’ammontare di Treasury detenuto dalla Cina resta intorno ai 1.180 miliardi di dollari e quando si considera anche la quota di Belgio e Irlanda, paesi attraverso i quali spesso vengono effettuati ulteriori acquisti, la cifra è piuttosto stabile», nota Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte Sim: un segnale abbastanza esplicito del fatto che «malgrado l’inizio della guerra commercial­e, per ora le ritorsioni cinesi sono state sul mercato valutario ma non su quello obbligazio­nario».

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AFP Italia e Cina.Una ragazza consulta libri sulle strategie del presidente cinese Xi Jinping alla Mostra del libro a Pechino. Durante la missione in Cina il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, incontrerà il ministro delle Finanze cinese, Liu Kun, e il governator­e della People’s Bank of China, Yi Gang
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 ??  ?? Missione Cina. Dal 27 agosto al 1° settembre il ministro dell’Economia Giovanni Tria (nella foto) sarà in Cina in visita ufficiale assieme a Fabio Panetta, vice direttore generale della Banca d’Italia
Missione Cina. Dal 27 agosto al 1° settembre il ministro dell’Economia Giovanni Tria (nella foto) sarà in Cina in visita ufficiale assieme a Fabio Panetta, vice direttore generale della Banca d’Italia

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