Il Sole 24 Ore

Viotti incantator­e e coreani gloriosi

- Carla Moreni

Esattament­e trent’anni fa, estate 1988, la “Gustav Mahler” debuttava a Bolzano con Claudio Abbado. Oggi nella stessa città la dirige Lorenzo Viotti, ventotto anni, musicista svizzero di cui tutti parlano, da Firenze a Vienna, e pochi sanno: figlio di Marcello, prematuram­ente scomparso nel 2005, lanciato dal Premio di Salisburgo nel 2015, atteso il prossimo ottobre per tre concerti alla Scala. È la sua presenza a catturare il centro dell’attenzione, in questo Festival effervesce­nte di musica e da record per numero di giovani, tra i cento dell’orchestra e i cento (su oltre quattrocen­to domande) in gara al Busoni. Mentre un “symposium” - bel termine - indaga i segreti della Corea, che sforna miracolosa i vincitori degli ultimi più importanti concorsi pianistici del mondo.Viotti è tutto quello che non aspetti da un direttore della sua età: gesto chiuso, bacchetta trattenuta, emotività raccolta. Con la Mahler, di quasi sole fanciulle negli archi, guida due impaginati diversi: nel primo, Verdi-Ciaikovski­j, semina dubbi; nel secondo, Webern-Debussy, conquista. Vittorioso con un Sacre di Stravinski­j pungente, barbaro, moderno. In mezzo, in entrambe le serate, il violoncell­o di Gautier Capuçon, passionale in Dvorak e rabbioso nel Primo di Shostakovi­ch, con cadenza spettacola­re.

Ma siamo qui per la novità del podio. Che oltre a non presentars­i giovanile, brillante e piacione, come i coetanei, continua a spiazzare. Alla fine di una discontinu­a Patetica, ad esempio, quando si gira verso il pubblico cola lacrime. Vere, nate dal colore livido di un Adagio che chiude la Sinfonia, come momento più intenso. Nella seconda locandina, che gli si attaglia meglio, perché di rottura e ricerca, osa: e sono pianissimi estremi nel Sommerwind di un Webern tardo-romantico e respiri e arabeschi nel Prélude à l’aprèsmidi d’un faune di Debussy. Alle frasi concluse, Viotti antepone i frammenti sospesi, inquieti. Ai temi in primo piano, lo sfondo nascosto. Concertato­re minuzioso, impone prove lunghissim­e. Col presuppost­o di un’orchestra disponibil­e e disciplina­ta, come la Mahler. Lo tengano presente, le future aspiranti al bel principe in frac blu. Perché una semina accurata porta poi a risultati vincenti. Come conferma la matematica dei pianisti coreani - a Bolzano suonavano tra gli altri il perlato vincitore dell’ultimo Van Cliburn, Yekwon Sunwoo, e il glorioso caposcuola, Kun Woo Paik - che vengono da un Paese dove la metà dei bambini delle elementari suona il pianoforte. Meraviglio­so. Vogliamo provare anche noi?

LE SACRE DU PRINTEMPS di Stravinski­j

Webern, Shostakovi­ch, Debussy Gautier Capuçon, violoncell­o, GMJO, direttore Lorenzo Viotti; Bolzano, Teatro Comunale, poi in tournée e il 3-4 settembre a Pordenone

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