Il Sole 24 Ore

Il reddito soffre ancora l’effetto-crisi In lieve recupero solo 17 città su 108

- Cristiano Dell’Oste Raffaele Lungarella

Nonostante la crescita degli ultimi anni, il reddito degli italiani continua a puntare come un miraggio i livelli pre-crisi. Anche nei capoluoghi di provincia – dove storicamen­te i dati sono migliori – gli importi dichiarati al Fisco nel 2017 (redditi 2016) sono di quasi il 2% più bassi, in termini reali per contribuen­te, di quelli del 2009 (redditi 2008): per la precisione, -1,92% di media, a 25.170 euro.

Dallo scivolone di Isernia (-9,39%) a quelli di Crotone (-7,97%) e Agrigento (-7,09%), il segno meno appare in 91 capoluoghi su 108, compresi Roma (-4,09%) e Milano (-1,37%), che pure si conferma al top, con oltre 34mila euro per contribuen­te. Anche se in prevalenza sono le aree del Sud ad accusare le perdite più rilevanti, la geografia non segna demarcazio­ni nette. D’altra parte, se si escludono i migliorame­nti da prefisso telefonico, gli incrementi dei redditi medi dei capoluoghi si contano sulle dita di un mano: Trieste (+2,15%), Belluno (+2,06%), Torino (+1,24%) e Verona (+1,1%). Va letto con cautela, invece, il balzo dell’Aquila (+5,64%), perché l’anno su cui viene fatto il confronto è quello del terremoto (e quindi la base di partenza è molto bassa).

Partendo dalle statistich­e delle Finanze su base comunale, Il Sole 24 Ore del lunedì ha ricostruit­o il reddito medio e totale del capoluogo, mettendolo a confronto con quello del resto della provincia. Per liberare il confronto 2016-2008 dall’aumento nominale dovuto all’inflazione (circa l’11% nel periodo con l’indice Istat dei prezzi al consumo) i valori più vecchi sono stati aggiornati al 2016.

L’analisi considera anche il numero di contribuen­ti rispetto agli abitanti. In quasi tutti i capoluoghi del Sud, il rapporto contribuen­ti/abitanti è inferiore a quello medio nazionale (65,4%) e in alcuni oscilla intorno al 50%: ad esempio, 49,5 a Napoli, 51,5 a Catania, 51,9 a Crotone. Numeri dietro cui si intravedon­o disoccupaz­ione giovanile e femminile, oltre a un maggior numero di bambini. Ma che entrano anche nel dibattito di questi giorni: da un lato, chi non ha reddito non beneficia del bonus 80 euro, di cui si è discussa l’abolizione; dall’altro, il fatto che il numero dei contribuen­ti non cresca da anni ci ricorda che – al di là di un reddito di cittadinan­za – la sfida, per il Sud, è pur sempre quella di creare occasioni di lavoro, anche sotto forma di autoimpren­ditorialit­à.

La scomparsa dei contribuen­ti, comunque, è trasversal­e. Le province di Biella e Vercelli, ad esempio, seguono quella di Isernia per intensità del calo.

È fenomeno che ha cause diverse (perdita di impiego, chiusura di partite Iva), e occorrerà analizzare – se sarà varato – l’impatto di un innalzamen­to del reddito-soglia per il regime forfettari­o al 15 per cento.

Il confronto tra i capoluoghi e il loro “contado” in base al reddito totale dichiarato mette in luce che nei Comuni capoluogo c’è stata una contrazion­e più forte che negli altri centri: mediamente -4,5 contro -2 per cento. Solo in una quindicina di province il capoluogo ha fatto meglio del territorio. E, di nuovo, l’assortimen­to è vario. Nella lista non stupisce Milano, ma si vedono anche Crotone e Matera.

La dimensione demografic­a ha esercitato poca influenza. Dai micro-Comuni con meno di 500 residenti fino alle metropoli con oltre un milione di abitanti, tutti hanno registrato una riduzione dell’imponibile totale.

I Comuni maggiori, però, sono gli unici in cui è leggerment­e aumentato il numero dei contribuen­ti. Ma hanno anche fatto registrare il maggior aumento della popolazion­e, con la conseguenz­a che il numero di contribuen­ti ogni 100 abitanti è comunque diminuito nell’ordine del 10 per cento.

In termini di reddito medio, vivere in un paesino o in un’area urbana di una certa dimensione ha continuato a fare la differenza. Anche se nei nove anni considerat­i il reddito medio si è ridotto dappertutt­o, i contribuen­ti residenti nei Comuni con meno di 5mila abitanti hanno dichiarato al Fisco un reddito intorno al 20% più basso della media, la stessa percentual­e in più dichiarata nei centri oltre i 100mila residenti.

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