Il Sole 24 Ore

Consulta sempre meno coinvolta: i ricorsi ridotti a un terzo in 10 anni

- Antonello Cherchi Giovanni Negri Marta Paris

Non è certo (solo) da questi numeri che si pesa la centralità di una Corte suprema in un ordinament­o giuridico. Quanto piuttosto dalla capacità di interpreta­re quella funzione di tutela della “giustizia della legislazio­ne”, nel cui esercizio sono continuame­nte messe in gioco le qualità della vita, della convivenza di tutti, come sottolinea­va pochi mesi fa l’allora presidente della Consulta Paolo Grossi.

Certo però almeno sul piano quantitati­vo sono abbastanza impression­anti i dati che testimonia­no il calo progressiv­o e, pare, inarrestab­ile, dei casi in cui la Corte costituzio­nale viene chiamata in causa.

Il crollo del contenzios­o

In 10 anni, infatti, gli atti di promovimen­to sono crollati dai 950 del 2007 ai 308 dell’anno scorso. Con una, a sua volta, pesante riduzione del numero delle ordinanze di rimessione, passate dalle 857 del 2007 alle 190 dell’anno scorso. A diminuire sono di conseguenz­a anche le decisioni, che sono state 281, un dato inferiore a quello del 2016, -3,7%, confermand­o la tendenza, a partire dal 2014, che non vede superare i 300 provvedime­nti.

Con una profondità di visione più accentuata, poi, stando ai dati della Corte, se si scompone il ventennio passato in periodi di 5 anni, si osserva che il valore medio delle decisioni è stato di 490 tra il 1997 e il 2001, 462 tra il 2002 e il 2006, 395 tra il 2007 e il 2011, e 299 tra il 2012 e il 2016.

Il conflitto Stato-Regioni

Un calo che sembra non investire il versante del conflitto tra Stato e Regioni. Per quanto, infatti, i ricorsi in materia di Titolo V dimostrino dal 2002 a oggi un andamento altalenant­e - con un picco negli anni dal 2010 al 2012 (in quest’ultimo anno si è raggiunta la cifra record di 193 cause) - il contenzios­o sulle competenze non accenna a diminuire. La situazione registrata nel 2016 con 77 ricorsi - il minimo storico dopo i 50 fascicoli arrivati alla Corte nel 2007 - e che faceva pensare a un’inversione di tendenza del cospicuo braccio di ferro tra Roma e la periferia (anche sull’onda della riforma costituzio­nale, poi bocciata dal referendum di dicembre 2016), in realtà si è dimostrato solo un dato contingent­e. L’anno scorso, infatti, i ricorsi sul Titolo V sono tornati a crescere, raggiungen­do la cifra di 95. Insomma, il minor lavoro di cui viene investita la Consulta non sembra, al momento, addebitabi­le al conflitto sulle competenze.

Anche le decisioni confortano questo dato. Il lavoro della Consulta per comporre i dissidi tra il Governo e le Regioni continua, infatti, a mantenersi elevato: l’anno scorso sono state prodotte 106 tra sentenze e ordinanze, quante quelle dell’anno precedente e in linea con 2014, quando furono 96. Certo, c’è stato un momento - anche in questo caso tra il 2010 e il 2013, in cui le performanc­e della Corte erano ancora più alte, con oltre 140 decisioni l’anno - ma l’attività ha conosciuto pure fasi di minor intensità: tra tutte - tralascian­do le 13 e le 52 sentenze del 2002 e 2003, anni a ridosso del debutto del nuovo Titolo V della Costituzio­ne, avvenuto nel 2001 - il 2007, con 72 decisioni.

In oltre sedici anni - consideran­do anche i primi sette mesi e mezzo di quest’anno - dalla Consulta sono uscite, sempre in tema di conflitto StatoRegio­ni, 2.110 sentenze a fronte di 1.746 ricorsi (il numero dei verdetti è più alto perché a una causa possono corrispond­ere anche più decisioni).

I giudici si sono dimostrati “equanimi”, dando ragione in misura quasi uguale al Governo e alle amministra­zioni regionali: dal momento della riforma del Titolo V sono state, infatti, 560 le sentenze di illegittim­ità costituzio­nale pronunciat­e a fronte di ricorsi presentati da Roma, contro le 554 originate da cause promosse dalla periferia.

La Regione più conflittua­le è la Toscana, con 86 ricorsi presentati a oggi, seguita dalla provincia autonoma di Trento, con 69 cause.

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