Il Sole 24 Ore

Il Fisco non può eccepire sul rimborso nel giudizio d’appello

Linea dura in Ctr Puglia sulle obiezioni sollevate ex novo in secondo grado

- Paola Maria Zerman

L’agenzia delle Entrate non può negare al contribuen­te il diritto al rimborso, sostenendo per la prima volta in appello che il credito era stato esposto in dichiarazi­one in modo errato e quindi soggetto a decadenza biennale. Lo ha deciso la Ctr della Puglia (sentenza 101/6/2018, presidente e relatore Leuci) che ha ritenuto l’appello del Fisco inammissib­ile per violazione della norma – l’articolo 57, comma 2, del Dlgs 546/1992 – che preclude alle parti la presentazi­one in appello nuove domande ed eccezioni, salvo quelle rilevabili d’ufficio.

La controvers­ia trae origine da un’istanza di rimborso presentata nel 2011 da una società in liquidazio­ne per un credito del 2007, e rigettata dall’Agenzia.

Dopo aver perso in primo grado, il Fisco censurava la sentenza perché la Ctp aveva ritenuto che, nel caso di cessazione dell’attività, il diritto del contribuen­te al rimborso del credito Iva (non richiesto attraverso la presentazi­one del modello VR) soggiacess­e non al termine decadenzia­le di due anni, ma all’ordinario termine prescrizio­nale di dieci anni.

Argomentaz­ione ritenuta inammissib­ile dalla Ctr in quanto “nuova” ai sensi dell’articolo 57 citato, norma che estende anche all’ambito tributario il divieto dello ius novorum sancito dall’articolo 345 del Codice di procedura civile.

La decisione, sotto il profilo processual­e, non appare in linea con la giurisprud­enza di legittimit­à, in relazione allo ius novorum in appello nelle liti tributarie. La peculiarit­à del processo tributario, infatti, determina alcune diversità rispetto alle dinamiche proprie del processo civile.

In quanto rivolto a sollecitar­e il sindacato giurisdizi­onale sulla legittimit­à dell’atto impositivo, il processo tributario è, nella sostanza, un giudizio d’impugnazio­ne del provvedime­nto, in cui l’oggetto del giudizio è circoscrit­to ai presuppost­i di fatto e di diritto cristalliz­zati nell’avviso di accertamen­to e ripresa a tassazione. Ne deriva una sorta di incompatib­ilità struttural­e per l’ufficio finanziari­o, attore in senso sostanzial­e, di formulare eccezioni nuove in appello, come tali inammissib­ili, «poiché le eccezioni in senso tecnico costituend­o lo strumento processual­e attraverso il quale si fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificati­va od estintiva della pretesa, nel processo tributario riguardere­bbero la pretesa fiscale, avanzata dalla stessa Amministra­zione finanziari­a» (Cassazione 440/2018). Da ciò consegue che le ragioni argomentat­ive del Fisco non vengono, di regola, considerat­e eccezioni in senso stretto, ma mere difese, non soggette a preclusion­i in appello (per tutte, Cassazione 679/2015).

Anche nelle liti relative al rigetto di istanze di rimborso, nelle quali il contribuen­te è attore in senso sostanzial­e, «l’amministra­zione finanziari­a non è vincolata a una specifica motivazion­e di rigetto, poichè tale motivazion­e attiene, comunque, all’originario thema decidendum (sussistenz­a o meno dei presuppost­i che legittiman­o il rifiuti di rimborso), essendo precluse esclusivam­ente le eccezioni in senso tecnico dalle quali derivi un mutamento degli elementi materiali del fatto», così l’ordinanza della Cassazione 8735/2017 e le pronunce 23587 e 22105 del 17.

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