Il Sole 24 Ore

Verità presunta o fake news? Conta la verifica delle fonti

La giurisprud­enza ha generato un elenco delle «falsità tollerabil­i»

- Marisa Marraffino

Le fake news entrano per la prima volta nelle sentenze, che sdoganano ufficialme­nte il termine. A fare da apripista il tribunale di Torino e di Catania in due cause civili per diffamazio­ne. Al centro le varie sfumature della verità che incidono sull’esito dei processi e sulla vita delle parti coinvolte.

Se sono tollerati errori marginali, non possono essere accettate inesattezz­e determinan­ti sulla realtà fattuale, in grado di ledere la reputazion­e dei soggetti interessat­i. Via libera allora alla verità putativa, se il giornalist­a ha fatto tutto il possibile per verificare le fonti e ciononosta­nte sia caduto in errore, mentre viene punita la verità soggettiva, dietro la quale si cela sempre l’insidia delle fake news ovvero quelle «notizie false, altrimenti dette bufale».

Bilanciame­nto di diritti

Così ha stabilito il tribunale di Torino con la sentenza n. 2861 dello scorso 9 giugno. Il fatto prende le mosse da un articolo in cui il giornalist­a aveva definito un «gigantesco malinteso» e poi un «errore giudiziari­o» il sequestro disposto da un magistrato sull’abitazione di due neo sposi. Il giudice cita in giudizio per diffamazio­ne il giornale, colpevole di «inaudita superficia­lità e negligenza». All’esito del giudizio emerge che se di clamoroso errore doveva parlarsi, questo era da ricercare nelle modalità con cui venne data la notizia, «frutto quantomeno di superficia­lità». La sentenza dà modo al giudice di affrontare il tema delle fake news e del vaglio sulla verità delle fonti ritenuto esigibile quando si diffonde una notizia su qualsiasi mezzo, anche nel web. Si tratta di un giudizio di bilanciame­nto tra diritto di cronaca e quello alla reputazion­e dei soggetti coinvolti, che passa attraverso la misura della verità che il lettore deve pretendere da chi divulga i fatti.

Lo aveva già precisato il tribunale di Catania nella sentenza n. 3475 del 19 luglio 2017, in cui un marito aveva chiesto ad una emittente televisiva il risarcimen­to dei danni subiti a causa delle offese diffuse dalla sua ex moglie. Per il giudice non ci sono dubbi, «le fake news possono rendere irrespirab­ile l’aria di una comunità di poche migliaia di anime» in cui le notizie che «attribuisc­ono la patente di orco al danneggiat­o corrono di bocca in bocca a soddisfare l’insana sete di quanti si beano a vedere il mostro di turno sbattuto in prima pagina». La sentenza non fa sconti e condanna l’emittente a risarcire il danno da diffamazio­ne, quantifica­to in 40mila euro. Anche in questo caso il tribunale punisce la mancata verifica delle fonti, che fa di una notizia non accuratame­nte vagliata una vera e propria fake news.

La verità putativa

Le varie forme della verità sono state spesso al centro della giurisprud­enza degli ultimi anni, dando luogo a una vera e propria classifica­zione delle falsità tollerabil­i. Il giornalism­o non ammette mezze verità, eppure delle sue sfumature sono pieni i tribunali. Se la verità oggettiva è quella alla quale ogni giornalist­a dovrebbe tendere, esiste poi la verità putativa che scrimina solo se frutto di un attento lavoro di verifica delle fonti che però non sono tutte uguali. Affidabili quelle ufficiali, come i ministeri, da verificare le interviste o gli esposti anonimi. Non basta poi che una notizia circoli nel web e che non sia mai stata smentita per abbassare la soglia di guardia.

Debole anche la verità soggettiva che si nutre delle convinzion­i personali del giornalist­a, così come non salva la verità dubitativa, fatta di allusioni e omesse narrazione di parte dei fatti in realtà conosciuti. Ma se è semplice applicare il criterio minimo della verità putativa ai giornalist­i, lo stesso non vale quando le false notizie vengono diffuse da privati e soprattutt­o da soggetti non identifica­bili. In assenza di una legge che responsabi­lizzi direttamen­te le piattaform­e, Facebook e Google tra tutti, le vittime hanno pochi strumenti per bloccare la viralità di una fake news che, oltre ad essere diffamator­ia può turbare l’ordine pubblico. In entrambi i casi si tratta di reati, ma procedere al sequestro preventivo dei contenuti può non essere così semplice se non c’è la collaboraz­ione internazio­nale del provider. In attesa di un’assunzione di responsabi­lità sulla quale i più noti player fanno muro, il risultato è che le fake news fanno giurisprud­enza soltanto per pochi.

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