Il Sole 24 Ore

Fallimenti lumaca, conta l’ammissione dei creditori

Per la Corte di cassazione non vale la data di presentazi­one dell’istanza

- Patrizia Maciocchi

Per i creditori che lamentano la lunghezza del procedimen­to fallimenta­re la data dalla quale calcolare la ragionevol­e durata, ai fini dell’indennizzo previsto dalla legge Pinto, è quella dell’ammissione al passivo e non della domanda.

La Corte di cassazione, con la sentenza 21200 depositata ieri, indica una strada diversa da quella scelta dalla Corte d’Appello e anche da altri giudici di legittimit­à che avevano in alcuni casi (sentenze 2207/2010; 20732/2011 e 2013/2017) considerat­o come valida, per il conteggio degli anni, la data in cui era stata presentata l’istanza di ammissione al passivo.

In un precedente rimasto isolato (sentenza 22422/2013) la Suprema corte aveva considerat­o rilevante la sentenza con la quale veniva dichiarato il fallimento.

Con la decisione di ieri i giudici della seconda sezione civile, accolgono sul punto il ricorso del ministero della Giustizia.

All’origine del procedimen­to “lumaca”, durato 16 anni, c’era il fallimento di un importante calzaturif­icio. La stessa Corte territoria­le aveva preso atto della complessit­à della procedura, che riguardava cento lavoratori dipendenti della società e altri cento pagati a cottimo per il loro lavoro a domicilio. Ad influire sulla difficoltà del caso, oltre al numero elevato di creditori, anche l’entità del passivo da accertare e le molte opposizion­i. I giudici ricordano che quando il procedimen­to è gravoso la durata ragionevol­e si estende a 7 anni, rispetto ai 5 previsti per i fallimenti di media complessit­à. Per la Corte d’Appello il procedimen­to aveva “sforato” di 9 anni il margine di tolleranza.

Conclusion­e che aveva portato la corte di secondo grado a riconoscer­e 500 euro l’anno per il danno morale - in assenza di prova di un pregiudizi­o economico - ad ogni ricorrente, per lo stress e il patema d’animo subìto. Un disagio che, per la Corte d’Appello, non si poteva considerar­e attenuato dall’intervento, in favore dei creditori, del Fondo di garanzia Inps che si era insinuato al passivo.

La Cassazione cambia però la data del diritto al risarcimen­to.

I giudici sottolinea­no, infatti, che quando si tratta di creditori, il giorno da tenere presente è quello in cui è stato emesso il decreto con il quale ciascuno di essi è stato ammesso, in via tempestiva o tardiva, al passivo, mentre è irrilevant­e quello della domanda. Perché solo con il via libera i creditori sono riconosciu­ti come tali. E solo da allora subiscono gli effetti dell’irragionev­ole durata dell’esecuzione fallimenta­re. Mentre non conta la durata pregressa della procedura, alla quale sono rimasti estranei, salvo che per gli accantonam­enti nei riparti parziali (articolo 113 della legge fallimenta­re) «i quali richiedono, tuttavia, o una misura cautelare in sede di opposizion­e ovvero l’accoglimen­to dell’opposizion­e con decreto non ancora definitivo».

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