Ilva, verifiche sull’ambiente ma resta il nodo dei debiti
In questi giorni le audizioni di associazioni e di Mittal, oggi il parere del ministero Lo stato passivo ammonta a 2,5 miliardi, sono 14.425 i lavoratori «insinuati»
È atteso per oggi il parere del ministero dell’Ambiente sul piano Ilva, richiesto dal Mise per dirimere la questione relativa alla legittimità dell’aggiudicazione ad Am Investco (controllata da ArcelorMittal) degli asset dell’azienda commissariata. Mercoledì i tecnici del ministero dell’Ambiente hanno audito i rappresentanti delle associazioni ambientaliste; ieri è toccato allo staff di Mittal, chiamato a chiarire anche le disponibilità alla rimodulazione di alcune scadenze del piano. La capocordata ha anticipato in un recente addendum al contratto molte delle scadenze (come per esempio le coperture dei parchi al 2020), ma restano da sciogliere ancora alcuni dubbi di legittimità legati all’impatto delle modifiche del Milleproroghe su alcune scadenze intermedie, con possibile lesione dell’interesse pubblico. Il confronto è di natura tecnica,e sfocerà in un parere che dovrebbe essere reso noto oggi. A valle di questa decisione i sindacati attendono dal ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio una convocazione per riattivare il tavolo in vista della scadenza del contratto con Mittal, fissata per il 15 settembre. Le sigle hanno lanciato nei giorni scorsi un ultimatum, annunciando una mobilitazione nel caso in cui non ci sia una risposta entro martedì. Critica anche la posizione del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: «ancora non ho capito qual è l’obiettivo del Governo e che fine ha in testa il ministro - ha detto -: speriamo solo siano tattiche negoziali, e che porti a casa il miglior risultato possibile, ma chiuda la questione prima» che esploda «un problema sociale per Taranto e per l’indotto».
Tra gli interessi collettivi che la gara Ilva deve tutelare ci sono, oltre a quelli relativi ad ambiente e lavoro, anche quelli dei creditori dell’azienda in amministrazione straordinaria. Migliaia di soggetti, tra questi grandi banche e fornitori, ma anche piccole realtà dell'indotto, dipendenti e l’amministrazione pubblica, che si sono insinuati nello stato passivo e che rischierebbero di restare senza risposte se la trattativa dovesse saltare.
La massa debitoria di Ilva precommissariamento (relativa al bilancio 2014) ammontava a 3,143 miliardi, di cui 1,244 legati alle banche, 272 milioni riferiti ad altri finanziatori, 759 ai fornitori, 438 riconducibili a rapporti con altre società del gruppo e circa 250 milioni tra Inps e debiti tributari. Due anni e mezzo dopo, a valle del percorso di definizione dello stato passivo (concluso a giugno dell’anno scorso) è stato esaminato un «petitum» di 17.500 insinuazioni al passivo per 6,6 miliardi. «Solo» 2,5 miliardi sono stati accolti, relativi a 17.493 domande: sono state respinte richieste per circa 4 miliardi, di cui 3,5 miliardi relativi al Comune di Taranto. Le posizioni creditorie accolte dal giudice delegato sono suddivise tra privilegiati (570 milioni), in prededuzione (539 milioni) e chirografi (1,429 miliardi). È ancora in corso l’esame delle domande di insinuazione tardive, che potranno essere presentate entro fine anno.
Le regole in materia di procedure concorsuali stabiliscono che debbano essere considerate privilegiate le categorie dei dipendenti (14.425 i lavoratori Ilva insinuati), dei professionisti e degli artigiani, oltre a Inps e Agenzia delle entrate. La prededuzione riguarda situazioni particolari, come nel caso dei debiti maturati dai fornitori durante il periodo di amministrazione straordinaria, oppure dei debiti di fornitori con i quali la procedura è impossibilitata a sciogliere il contratto in mancanza di alternative (in questo caso l’obbligo di restituzione riguarda anche le situazioni antecedenti al commissariamento). Sono prededucibili, nel caso di Ilva, anche alcuni finanziamenti contratti dall’azienda con garanzia dello Stato. Tra i chirografi si trovano tutti gli altri creditori, tra cui le banche.
Allo stato attuale i fondi destinati ai creditori sono rappresentati innanzitutto dal prezzo di 1,8 miliardi con cui Am intende rilevare gli asset. Da questa cifra bisogna stornare i 300 milioni concessi dallo Stato per completare il trasferimento; la legge dice che la restituzione di quest’importo (su cui maturano interessi pari al tasso euribor a 6 mesi maggiorato di uno spread del 4,1%) deve avvenire entro due mesi dalla data in cui avrà efficacia la cessione di Ilva. Al prezzo di vendita va aggiunta la valorizzazione del magazzino e, eventualmente, di aree e asset non rientrati nel perimetro di vendita, che potrebbero generare realizzi.
La somma ottenuta dovrebbe soddisfare integralmente le posizioni di privilegio e di prededuzione. Più difficile stimare il ristoro per i chirografi che comunque, come è normale in questi casi, sarà parziale. Tra i lavoratori Ilva insinuati nel passivo ci sono anche 2.359 dipendenti per i quali non è stato versato il Tfr dal 1996 al 2012. Durante la gestione precedente a quella commissariale era stata introdotta la consuetudine di pagare un premio alla fine di ogni anno, senza però mai prenderlo a riferimento per il calcolo del Tfr. Il codice civile stabilisce che «tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, con la sola eccezione delle erogazioni a titolo occasionale» debbano essere comprese nella retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr. I legali della procedura hanno ritenuto che non vi fossero spazi per escludere questo premio dalla base di calcolo del Tfr, con il rischio di perdere eventuali contenziosi sul tema. Solo nel 2013 la società ha iniziato a considerare il premio ai fini del Tfr : si tratta di recuperare le somme versate dal 1996 al 2012. L'intenzione della società era inizialmente liquidare subito l’importo, ma la difficile situazione di cassa ha reso impraticabile questa soluzione; i dipendenti sono stati invitati a presentare un’insinuazione per rivendicare la quota di Tfr mai calcolata. Con le somme recuperate dalla procedura dovranno essere infine pagate anche le insinuazioni delle società di Ilva che non hanno seguito bandi distinti. Si tratta di Ilvaform, Ilva servizi marittimi e Taranto Energia. In questo caso il «petitum» è stato complessivamente di 76,5 milioni; non sono state accolte richieste per 31,5 milioni, per la maggior parte riferite a Ilvaform.