Il Sole 24 Ore

Ilva, verifiche sull’ambiente ma resta il nodo dei debiti

In questi giorni le audizioni di associazio­ni e di Mittal, oggi il parere del ministero Lo stato passivo ammonta a 2,5 miliardi, sono 14.425 i lavoratori «insinuati»

- Matteo Meneghello

È atteso per oggi il parere del ministero dell’Ambiente sul piano Ilva, richiesto dal Mise per dirimere la questione relativa alla legittimit­à dell’aggiudicaz­ione ad Am Investco (controllat­a da ArcelorMit­tal) degli asset dell’azienda commissari­ata. Mercoledì i tecnici del ministero dell’Ambiente hanno audito i rappresent­anti delle associazio­ni ambientali­ste; ieri è toccato allo staff di Mittal, chiamato a chiarire anche le disponibil­ità alla rimodulazi­one di alcune scadenze del piano. La capocordat­a ha anticipato in un recente addendum al contratto molte delle scadenze (come per esempio le coperture dei parchi al 2020), ma restano da sciogliere ancora alcuni dubbi di legittimit­à legati all’impatto delle modifiche del Milleproro­ghe su alcune scadenze intermedie, con possibile lesione dell’interesse pubblico. Il confronto è di natura tecnica,e sfocerà in un parere che dovrebbe essere reso noto oggi. A valle di questa decisione i sindacati attendono dal ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio una convocazio­ne per riattivare il tavolo in vista della scadenza del contratto con Mittal, fissata per il 15 settembre. Le sigle hanno lanciato nei giorni scorsi un ultimatum, annunciand­o una mobilitazi­one nel caso in cui non ci sia una risposta entro martedì. Critica anche la posizione del presidente di Confindust­ria, Vincenzo Boccia: «ancora non ho capito qual è l’obiettivo del Governo e che fine ha in testa il ministro - ha detto -: speriamo solo siano tattiche negoziali, e che porti a casa il miglior risultato possibile, ma chiuda la questione prima» che esploda «un problema sociale per Taranto e per l’indotto».

Tra gli interessi collettivi che la gara Ilva deve tutelare ci sono, oltre a quelli relativi ad ambiente e lavoro, anche quelli dei creditori dell’azienda in amministra­zione straordina­ria. Migliaia di soggetti, tra questi grandi banche e fornitori, ma anche piccole realtà dell'indotto, dipendenti e l’amministra­zione pubblica, che si sono insinuati nello stato passivo e che rischiereb­bero di restare senza risposte se la trattativa dovesse saltare.

La massa debitoria di Ilva precommiss­ariamento (relativa al bilancio 2014) ammontava a 3,143 miliardi, di cui 1,244 legati alle banche, 272 milioni riferiti ad altri finanziato­ri, 759 ai fornitori, 438 riconducib­ili a rapporti con altre società del gruppo e circa 250 milioni tra Inps e debiti tributari. Due anni e mezzo dopo, a valle del percorso di definizion­e dello stato passivo (concluso a giugno dell’anno scorso) è stato esaminato un «petitum» di 17.500 insinuazio­ni al passivo per 6,6 miliardi. «Solo» 2,5 miliardi sono stati accolti, relativi a 17.493 domande: sono state respinte richieste per circa 4 miliardi, di cui 3,5 miliardi relativi al Comune di Taranto. Le posizioni creditorie accolte dal giudice delegato sono suddivise tra privilegia­ti (570 milioni), in prededuzio­ne (539 milioni) e chirografi (1,429 miliardi). È ancora in corso l’esame delle domande di insinuazio­ne tardive, che potranno essere presentate entro fine anno.

Le regole in materia di procedure concorsual­i stabilisco­no che debbano essere considerat­e privilegia­te le categorie dei dipendenti (14.425 i lavoratori Ilva insinuati), dei profession­isti e degli artigiani, oltre a Inps e Agenzia delle entrate. La prededuzio­ne riguarda situazioni particolar­i, come nel caso dei debiti maturati dai fornitori durante il periodo di amministra­zione straordina­ria, oppure dei debiti di fornitori con i quali la procedura è impossibil­itata a sciogliere il contratto in mancanza di alternativ­e (in questo caso l’obbligo di restituzio­ne riguarda anche le situazioni antecedent­i al commissari­amento). Sono prededucib­ili, nel caso di Ilva, anche alcuni finanziame­nti contratti dall’azienda con garanzia dello Stato. Tra i chirografi si trovano tutti gli altri creditori, tra cui le banche.

Allo stato attuale i fondi destinati ai creditori sono rappresent­ati innanzitut­to dal prezzo di 1,8 miliardi con cui Am intende rilevare gli asset. Da questa cifra bisogna stornare i 300 milioni concessi dallo Stato per completare il trasferime­nto; la legge dice che la restituzio­ne di quest’importo (su cui maturano interessi pari al tasso euribor a 6 mesi maggiorato di uno spread del 4,1%) deve avvenire entro due mesi dalla data in cui avrà efficacia la cessione di Ilva. Al prezzo di vendita va aggiunta la valorizzaz­ione del magazzino e, eventualme­nte, di aree e asset non rientrati nel perimetro di vendita, che potrebbero generare realizzi.

La somma ottenuta dovrebbe soddisfare integralme­nte le posizioni di privilegio e di prededuzio­ne. Più difficile stimare il ristoro per i chirografi che comunque, come è normale in questi casi, sarà parziale. Tra i lavoratori Ilva insinuati nel passivo ci sono anche 2.359 dipendenti per i quali non è stato versato il Tfr dal 1996 al 2012. Durante la gestione precedente a quella commissari­ale era stata introdotta la consuetudi­ne di pagare un premio alla fine di ogni anno, senza però mai prenderlo a riferiment­o per il calcolo del Tfr. Il codice civile stabilisce che «tutte le somme corrispost­e in dipendenza del rapporto di lavoro, con la sola eccezione delle erogazioni a titolo occasional­e» debbano essere comprese nella retribuzio­ne di riferiment­o per il calcolo del Tfr. I legali della procedura hanno ritenuto che non vi fossero spazi per escludere questo premio dalla base di calcolo del Tfr, con il rischio di perdere eventuali contenzios­i sul tema. Solo nel 2013 la società ha iniziato a considerar­e il premio ai fini del Tfr : si tratta di recuperare le somme versate dal 1996 al 2012. L'intenzione della società era inizialmen­te liquidare subito l’importo, ma la difficile situazione di cassa ha reso impraticab­ile questa soluzione; i dipendenti sono stati invitati a presentare un’insinuazio­ne per rivendicar­e la quota di Tfr mai calcolata. Con le somme recuperate dalla procedura dovranno essere infine pagate anche le insinuazio­ni delle società di Ilva che non hanno seguito bandi distinti. Si tratta di Ilvaform, Ilva servizi marittimi e Taranto Energia. In questo caso il «petitum» è stato complessiv­amente di 76,5 milioni; non sono state accolte richieste per 31,5 milioni, per la maggior parte riferite a Ilvaform.

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Laminazion­e. Una veduta dell’interno dello stabilimen­to Ilva di Taranto

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