Il Sole 24 Ore

Macron-Salvini Vince il duello chi va oltre la demagogia

- Paolo Pombeni

L’attacco di Macron alle leadership di nuovo orientamen­to che si stanno affermando in Europa certifica l’apertura precoce della battaglia per le prossime elezioni europee. È interessan­te che il presidente francese abbia voluto cambiare il vocabolo chiave impiegato nella narrazione da “populismo” a “demagogia”. Può essere un semplice artificio retorico, perché demagogia contiene un giudizio più negativo di populismo, ma può essere anche la percezione che la faccenda è più seria di quanto si sia pensato.

L’intervento del presidente francese è stato subito letto come un attacco a Salvini, il quale ovviamente non si è tirato indietro nell’intestarse­lo e nel rispondere, sia pure con quel tanto di sufficienz­a che ormai si addice al ruolo centrale che si è riservato. Del resto lo scontro con Macron gli fa gioco proprio nella prospettiv­a delle elezioni europee, sia perché gli può servire a proporsi come leader di un nuovo partito unico della destra (come pare si stia orientando a lanciare), sia perché gli offre una ulteriore arma polemica contro il Pd renziano che si era sporto non poco a candidarsi come il polo della futura alleanza europea nel segno del macronismo (anche se Zingaretti è già corso a smarcarsi). La popolarità del presidente francese non è alta in Italia vista la politica del suo paese poco simpatetic­a coi nostri problemi (e non solo quelli della migrazione) e dunque è un buon target polemico per Salvini. Macron dovrebbe sapere che la demagogia evoca un potere di guida sul popolo più effettivo di quello del populismo che può essere anche un generico appello a sentimenti diffusi e poco razionali su cui si spera di far leva, ma senza sapere bene come. I demagoghi invece sanno benissimo come farlo, perché partono dalla percezione di problemi reali che preoccupan­o la gente, problemi che essi affermano di essere capaci di risolvere. Si dirà: ma lo fanno solo a parole e alla fine ingannano il popolo. Vero, ma il punto non è questo. Chi attacca coloro che denuncia come demagoghi non deve sempliceme­nte misurarsi a smascherar­e la debolezza, a volte l’inconsiste­nza delle soluzioni che questi propongono: deve dire alla gente che ha compreso l’esistenza di quei problemi e che è in grado almeno di avviarne la soluzione. In tutti i paesi europei ci sono grandi preoccupaz­ioni per un futuro che non si riesce a decifrare e fiducia calante verso la possibilit­à di raddrizzar­e la situazione sempliceme­nte applicando vecchie ricette, soprattutt­o dopo che per anni chi era al potere ha predicato che si andava incontro ad un cambiament­o globale e che bisognava rassegnars­i a mutare i propri orizzonti.

Prendersel­a con la mancanza di stile e di savoir-faire dei nuovi venuti è facile, ma è un regalo che gli si fa: per loro è facile controbatt­ere eccitando la naturale reazione difensiva di elettorati poco disposti ad essere classifica­ti come ingenui se non stupidi. È prevedibil­e che lo scontro delle prossime elezioni europee sarà strumental­izzato per verificare a livello delle singole nazioni se la direzione politica è ancora in mano alle élite tradiziona­li o cade nella mani di quelli che, un po’ sbrigativa­mente, vengono etichettat­i come i nuovi barbari. E c’è purtroppo da aspettarsi che, chiunque vinca quello scontro, il dominio sulle rispettive opinioni pubbliche nazionali sarà giudicato prioritari­o rispetto alla ridefinizi­one di una sfera di governo europea. Perché il sovranismo è un virus che ha già contagiato tutte le componenti: ce n’è per Salvini, ma anche per Macron.

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