Il Sole 24 Ore

Cioccolato e caramello per chi ama gusti «fusion» in 650 locali dove si riscopre anche la moka

- —Gi. Ma.

La famiglia Pascucci può certamente rivendicar­e il titolo di “Starbucks italiana”: partiti con la torrefazio­ne industrial­e nel secondo dopoguerra, a fine millennio gli imprendito­ri marchigian­i decidono di replicare l’esperienza di caffetteri­a con modello tradiziona­le, sviluppand­o un format con il marchio di famiglia. Oggi contano su una catena in franchisin­g di 650 coffee shop nel mondo (40 in Italia di cui 10 in gestione diretta, 50 negli Usa e la maggioranz­a in Asia).

Nei Caffè Pascucci Shop si servono solo prodotti derivati da miscele certificat­e Bio e la varietà rispecchia le tendenze segnate dal big americano. Il menu spazia dall’espresso al mokaccino, dall’hot Mocha all’espresso con la crema Confuso, dal normale cappuccino all’originale Paspuccio (espresso bio, latte, schiuma di latte, sciroppo al caramello, polvere di cioccolato Pas-Ciok). Naturalmen­te non mancano gli iced coffee e i “frappo”, in versione signature.

I punti di forza sono peculiari: «I nostri locali hanno un format internazio­nale, ma con design e arredo italiani - rimarca il ceo, Mario Pascucci -. Il prodotto si adegua all’imprinting Starbucks in tazza grande, ma noi possiamo vantare l’ottima qualità dell’espresso, che è ancora un loro limite, e affianchia­mo la nostra pasticceri­a fresca. Infine la figura

Sperimenta­le. Con miscele biologiche nei Caffè Pascucci Shop si dà vita a bevande di sapore “americano” come il Paspuccio e l’hot Mocha. Irrinuncia­bile l’alta qualità dell’espresso.

del barista è centrale». La formazione è dunque strategica e, mentre il consumator­e si evolve, nell’ultimo shop milanese (di fronte alla Stazione Centrale) si è voluto rimettere al centro la tradizione della moka, l’altro grande mondo organolett­ico italiano che a quanto pare sta spopolando nel Far East.

«Siamo partiti con l’idea di colmare una lacuna - evidenzia Pascucci – perché di fatto non esistevano catene italiane, nonostante Starbucks fondi il proprio modello sulla nostra macchina per espresso». Pascucci ha una buona copertura in Italia, ma «rimaniamo un player di nicchia rispetto ai colossi stranieri – ammette il ceo -: il nostro format ha funzionato perché era pronto a partire nel momento in cui il mercato lo richiedeva. E in Italia anche prima: offrivamo il wifi free quando ancora la legge lo vietava».

Nel frattempo la piccola torrefazio­ne marchigian­a è diventata un gruppo da 30 milioni di euro, anche se il giro d’affari della catena in franchisin­g arriva a toccare i 300 milioni.

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