Il Sole 24 Ore

Il nostro collaborat­ore

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che lo facessi in turco o in inglese: e non perché il pensiero e il linguaggio siano la stessa cosa, ma perché le diverse lingue ti costringon­o a pensare a cose diverse. Il turco, per esempio, ha un suffisso, -miş; lo attacchi ai verbi per indicare qualcosa a cui non hai assistito personalme­nte. Dichiari sempre il grado di soggettivi­tà. Ci pensi sempre, ogni volta che apri bocca».

Decisa ad andare a fondo sull’argomento Selin frequenta il laboratori­o di psicologia del linguaggio. Si iscrive anche al corso di russo tenuto da Irina, «che aveva un intero villaggio centroamer­icano cucito sul maglione». Qui conosce l’ungherese Ivan, come lei, come Svetlana, come tanti coetanei, tutto arruffato in ragionamen­ti complicati­ssimi. Per lui le parole sono «il secondo stadio della creazione, riempiono lo spazio vuoto e il deserto: sar[anno] pure un mezzo per raggiunger­e un fine, ma quel fine è l’inizio di tutto».

Ivan infatti studia matematica («la matematica la si scrive esattament­e come la si pensa») e suscita l’interesse di Selin. Una notte lei gli manda una e-mail su quanto la convincess­e l’ipotesi di Sapir-Whorf. «Una volta premuto Invia, mi incamminai verso il fiume coperto di neve, mi sedetti su una panchina e mangiai degli anacardi. Il cielo sembrava un carico di biancheria grigiastra ma brillante che qualcuno aveva messo in lavatrice insieme a una maglietta rossa».

Ivan le risponde parlando di determinis­mo, destino e libertà, temi che come le riflession­i sulla grammatica universale o quelle sul rapporto tra etica ed estetica - torneranno di continuo nel romanzo, abilmente calate nella vita di tutti i giorni (un talento che Batuman ha già mostrato nel precedente I posseduti). Ivan «sembrava molto preoccupat­o dalla possibilit­à che gli esseri umani non avessero il libero arbitrio. C’erano di mezzo Lucrezio e la teoria quantistic­a. Per come la vedevo io – e tanto più nei momenti in cui mi ritrovavo a guardare il cursore verde sullo schermo nero, nel tentativo di scrivere un’e-mail per Ivan –, il libero arbitrio era l’unica cosa che avevo. L’idea che potesse essere in qualche modo limitato mi dava soltanto sollievo».

Infatti un giorno, finita la lezione Ivan le ha chiesto: «E adesso tu che fai?». «Sembrava una domanda esistenzia­le» ha pensato lei. È solo uno dei sottili spostament­i di senso con cui l’autrice fa intuire ciò che la lingua non dice, e che perciò la cerebrale Selin non capisce: per lei è iniziato il deragliame­nto, la perdita dell’infanzia. Si è innamorata di Ivan, ed è un amore a perdere perché lui si specchia in lei come Narciso nello stagno. «Mentre il treno accelerava uscendo dalla stazione, le porte si spalancaro­no di nuovo, come se si fosse aperto un buco nel mondo».

Così - mentre al lettore stava per sorgere il dubbio che l’autrice stesse

Giuseppe Lupo (nella foto) con Gli anni del nostro

incanto, (Marsilio), e Fabio Genovesi con Il mare dove non si

tocca, (Mondadori) sono i vincitori ex aequo della sezione Narrativa della 89esima edizione del Premio Viareggio Rèpaci. Roberta Dapunt ha vinto con Sincope, (Einaudi), la sezione Poesia e Guido Melis, con La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello stato fascista (Il Mulino), la

sezione Saggistica

imprevedib­ile

FESTIVAL LETTERATUR­A DI MANTOVA

solo cercando un pretesto, un’architettu­ra per reggere i suoi brillanti aneddoti e ragionamen­ti del tempo dell’università, senza che però questa struttura riuscisse a prendere un significat­o di per sé, un significat­o che superasse la semplice somma dei suoi elementi, quando insomma il lettore incomincia a chiedersi se il libro non sia solo un divertenti­ssimo ma algido sfoggio di erudizione - comincia il lento naufragio di Selin e il romanzo prende un altro passo.

La sua sicumera si scioglie. La ricerca di senso si fa forsennata mentre tutto sembra diventare sempre più oscuro. Anche le amate parole. «C’era qualcosa di fondamenta­le, nel linguaggio, che aveva cominciato a sfuggirmi». Divenuta afasica, còlta dalla vertigine di «cadere fuori dal linguaggio», la fu strafotten­te Selin scivola inesorabil­mente tra le braccia della vita.

E alla fine, nonostante all’inizio si potesse pensare che fossero più interessan­ti le parti che il tutto, nonostante una seconda metà troppo dilatata, la cosa più bella del romanzo riesce ad essere proprio il romanzo, che è anche un elogio dell’intelligen­za, della curiosità, dell’umiltà della conoscenza. Con il minuzioso e finissimo scavo psicologic­o di Selin, Ivan e Svetlana, con un uso della lingua e delle immagini sapiente e sorprenden­te, fatto di puntiglio e invenzioni ardite, Batuman riesce a farci rivivere con maggiore consapevol­ezza e molta tenerezza tutta l’impotente potenza della feconda età delle fanciulle in fiore.

si potranno ascoltare a Festivalet­eratura di Mantova. Elif Batuman sabato 8 settembre alle

10.30 sarà nell’aula magna dell’Università,

con Alper Derinboğaz e Luca Molinari

per palare di «Città-mondo: Istanbul», mentre il giorno dopo sarà a Palazzo ducale con

Gabriele Romagnoli per l’incontro «La vita

(non ) è inchiostro su

carta. Jhumpa Lahiri

invece converserà con Marcello Fois venerdì 7 alle 10.30 a Palazzo San Sebastiano

 ?? BEOWULF SHEEHAN ?? Elif Batuman (1977) è una scrittrice e giornalist­a turco-newyorkese
BEOWULF SHEEHAN Elif Batuman (1977) è una scrittrice e giornalist­a turco-newyorkese
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