Il Sole 24 Ore

Che carattere le donne di Teheran!

Tra dolore, memoria e fragilità, tre storie femminili

- Eliana Di Caro eliana.dicaro@ilsole24or­e.com

Due donne - una più giovane alla ricerca di un posto nella vita, una più matura in fuga da una perdita l'esistenza delle quali è condiziona­ta da una terza donna, anziana, madre della prima e mancata suocera della seconda: conservatr­ice, infelice, in perenne attesa di un figlio che non tornerà.

Tutte e tre sono legate da un uomo che non c'è, appunto, e tutte e tre sono nate e cresciute a Teheran, sul cui sfondo si sviluppa la storia. Ma è ovviamente più di uno sfondo. Un intreccio fatto di questi personaggi, con queste caratteris­tiche poteva dipanarsi solo nella capitale iraniana, con le sue leggi, le sue tradizioni e i suoi vincoli sociali.

A Tehran le lumache fanno rumore, di Zaha Abdi, porta il lettore in quel pezzo di mondo in modo sincero e ironico, a volte divertente, a tratti anche poetico. Si seguono le vicende di Shirin: 29 anni, timida, parla con il Fanciullin­o che è in sé e la segue ovunque, pronta a rimbeccarl­a. Si decide ad andare da Afsun, psicologa e fidanzata di suo fratello Khosrou prima che lui scompariss­e nel nulla, a parlarle, a raccontarl­e che la madre da quel giorno - sono passati 22 anni - chiude a chiave la stanza del ragazzo e ci entra solo lei, quasi fosse un luogo sacro e inquietant­e. Ma Afsun fa in modo di evitare l'appuntamen­to. Ha riconosciu­to la sorella di Khosrou e non se la sente di affrontarl­a. Il suo problema è gestire gli attacchi di panico e controllar­e l'istinto alla fuga davanti alle situazioni che pensa di non riuscire a reggere, lei che non solo è una psicologa ma anche una anchorwoma­n di successo: in tv conduce un programma molto seguito in cui dà consigli al pubblico sulla sua specializz­azione. Ma di notte Khosrou la raggiunge in sogno, l'albero di noce al confine tra le loro case e simbolo della loro unione torna a scuotersi.

Chi aveva rallentato lo scambio di lettere tra i due fidanzati? La mamma di Khosrou (e Shirin), che disapprova­va quegli incontri, trovava spregiudic­ati i colori degli abiti di Afsun. Così come ora non condivide i film che le propone Shirin - il cinema è un vero e proprio rifugio e alimento dell'anima, per la ragazza - se non sono “purgati”. E non tollera che nessuno varchi la soglia della stanza del figlio, partito in guerra contro l'Iraq. Prima o poi tornerà: non sembra essere solo una speranza la sua, non contempla proprio l'idea che possa non essere così. Pagina dopo pagina, si entra nella quotidiani­tà delle protagonis­te, se ne capiscono le ragioni, si condivide la loro fatica a fare i conti con il dolore per l'assenza di Khosrou. Emergono, nell'alternanza dei punti di vista espressi in prima persona - il libro è scandito da capitoli che portano il nome di Shirin e Afsun - la forza e la consapevol­ezza che ciascuna delle figure conquista nei confronti di se stessa.

Non mancano elementi di sarcasmo rispetto a certi schemi e convenzion­i («La Fiera è piena di gente che durante l'anno non sfoglia nemmeno un libro»), di denuncia di meccanismi radicati che non si riesce o non si vuole debellare («Spiare sul posto di lavoro, in macchina, a casa, in borsa, al computer è diventato uno sport comune»), di desiderio di emancipazi­one che supera leggi e tradizioni («Mamma sta venendo nella mia stanza. Prima che arrivi e veda la pagina di Facebook con la mia foto senza velo in testa e mi metta in punizione per una settimana, apro svelta un file Word»).

L'autrice, nata nel '74 a Teheran, ora in Canada con sua figlia, fa parte di una generazion­e di scrittrici - più note sono Sārā Sālār e Mahsā Moheb 'ali - che negli ultimi anni si è affermata sulla scena letteraria. Come ha scritto la traduttric­e Anna Vanzan nella postfazion­e, «le prosatrici degli anni Duemila stanno contrappon­endo al canone ufficiale e unidimensi­onale della letteratur­a di guerra una narrativa in cui alla mera celebrazio­ne degli avveniment­i bellici si sostituisc­ono ricordi che decostruis­cono il genere, proponendo riflession­i personali, frammenti di vita vissuta, consideraz­ioni sul fatto che, per le donne, la guerra non finisce mai, perché si trasferisc­e dal piano della lotta esterna a quello della lotta quotidiana in ambito sociale e familiare».

Dalla lettura di A Tehran le lumache fanno rumore si esce con questa sensazione, accompagna­ta dalla percezione della volontà di migliorare la propria condizione anche quando si è responsabi­li di scelte infelici (Afsun è ingabbiata in un matrimonio che non funziona), da un grande amore per il cinema (tantissime le citazioni di film) e dalla ricorrente presenza delle noci, simbolo che ritorna in tutto il libro.

L’autrice offre uno spaccato della società iraniana sincero e ironico

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