La Settima visionaria di Kirill Petrenko
Ci sono grandi navi che camminano da sole, anche senza capitano. Ma tutto cambia quando su una di queste arriva una vera guida. Allora il viaggio diventa un’avventura mai immaginata, dove persino paesaggi che conosci a memoria svelano squarci inaspettati. Così è successo a Lucerna, nel cuore dello sfolgorante Festival delle orchestre internazionali più blasonate, che in questa settimana ha ospitato i Berliner Philharmoniker per le uniche due tappe (dopo Salisburgo) della prima tournée con il nuovo carismatico direttore: Kirill Petrenko.
Quarantasette anni, sconosciuto ai più, entra al volo tra i numeri 1 di oggi. A incoronarlo una Settima di Beethoven indimenticabile. Per profondità interpretativa, tecnica, invenzione. Compatta e esplosiva, fantasticamente visionaria. Saranno leggendari i prossimi anni a Berlino. Perché il dominio sulla grande nave dell’orchestra sembra già cementato da anni di lavoro. E parte da un gesto amplissimo, un abbraccio infinitamente vario, che chiede continua espressività (finalmente) e riporta ai fasti gloriosi di suono, virtuosismo, bellezza. Ottenuti da una fascinosa sensibilità musicale. No frac, sì partitura sul leggio. Petrenko ha proposto due programmi diversi: nel primo, Strauss e Beethoven, omaggiava la grande storia dei Berliner, per la prima volta a Lucerna giusto sessant’anni fa; nel secondo ha raccontato se stesso, le radici russe con il Terzo di Prokofiev e una smagliante Yuja Wang, insieme a rarità di Dukas e Schmidt, con la Quarta Sinfonia. Tutto con gusto narrativo, tensione emotiva e soprattutto simbiosi strettissima tra braccio e risposta dell’orchestra. Nei 1800 posti gremiti del KKL si respirava l’effetto di immersione in un mondo a parte. Culminante nella Settima (perché i Berliner sono Beethoven) energica nella sgranatura dei disegni ritmici ma anche pennellata in oasi sospese, cangiante di impasti timbrici e armonie. Mai ricreati a caso, o per bizzarra eccentricità. Al contrario: finalizzati a portarci nelle zone di transizione della scrittura. Là ad esempio dove la forma-sonata passa dalla sicurezza spavalda dell’esposizione tematica allo sviluppo, enigmatico con un materiale tanto originale e ribelle.
Organico ridotto, rispetto alla stupenda generosità dei due poemi sinfonici straussiani, il la maggiore della Sinfonia squillava festoso, pieno di gioia. E la danza affiorava subito, stanata nelle linee secondarie, prima di affermarsi in trionfale apoteosi. Geniale l’idea di appaiare primo e secondo movimento, quasi senza pausa, e poi terzo e quarto. Senza mai generare affanno. Con un Allegretto dalle frasi all’infinito. E veloci, in perfetto assieme. Segnate in agenda: tornare a Berlino; e in aprile andare a Roma (Nona, Santa Cecilia) e Torino (Rai, Eroica). Il Beethoven di Petrenko ha ancora tanto da dire.