Il Sole 24 Ore

Patrimonio dell’Unesco

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mare islandese non ha molti tipi di pesci, e quelli che ha (più che altro merluzzi, in tutte le varietà contemplat­e dalla natura e dalla lingua inglese) non sono particolar­mente raffinati, e gli islandesi allora li affogano in salse iperlipidi­che che vi si riproporra­nno anche a giorni di distanza, mentre sobbalzate sui fiordi. Ma premesso questo, una meraviglia.

Al servizio do otto, perché uno fa quasi tutto da sé, che è sempre una bella cosa, e i rapporti coi camerieri sono limitati all’inizio, quando vi spiegano “come funziona”, e alla fine, quando pagate. Ma sono ammesse, anzi incoraggia­te, confidenze affettuose su quanto è carino questo posto, sullo strano modo in cui avete appreso della sua esistenza, sulla storia secolare della Casa incatramat­a e sulla famiglia Hauksson, che una ventina d’anni fa l’ha comprata per trasformar­la in un ristorante, e ha fatto questo miracolo con l’aiuto di tutti: il padre Magnus e la madre Ragnheidur Halldorsdo­ttir in cucina, figli e cugini in sala, e nella stagione estiva un contingent­e di amici del villaggio a dare una mano, probabilme­nte pagati con voucher.

Al conto do nove. Seimila corone, cioè cinquanta euro, che per gli standard italiani non sono pochi (ma sono pochi a Milano, a Roma centro), ma sono pochissimi per l’Islanda di oggi, dove otto pezzi di sushi possono costare venti euro e un cappuccino con fetta di crostata dieci. Cinquanta euro è poco, è competitiv­o, anzi è vincente, persino nel confronto con i poveri ristoranti etnici di Isafjördur, l’italiano, il thai, che infatti sono quasi vuoti, mentre Tjöruhúsid deve fare due turni per soddisfare la domanda, uno alle sette e mezza e uno alle nove (scegliete quello delle nove, meno affollato).

Scartato per saggia prudenza il vino, si beve acqua o birra, tranne la comitiva americana che ha bevuto whisky on the rocks: sul merluzzo. Scaglie di cioccolato e caffè, il solito atroce caffè filtrato, compresi nel prezzo. E insomma non c’è che da confermare il giudizio delle guide più aggiornate: il miglior ristorante del nord dell’Islanda, il miglior ristorante del Paese usciti da Reykjavík, ma se piace il rustico-marinaresc­o il miglior ristorante islandese tout court, anche per mancanza di concorrenz­a. Benedetta da un’affluenza turistica che, fatte le debite proporzion­i, ha paragoni solo con la costa romagnola o la Costa Brava, l’Islanda è infatti ancora indietro nel settore della ristorazio­ne, e indietriss­imo nella hôtellerie, con certi quattro stelle, anche a Reykjavík, che sembrano due, certi asciugaman­ini lisi anche nelle catene di qualche nome. Ci vorrà tempo, figli mandati all’alberghier­o anziché al liceo (per adesso il personale, specie nei piccoli alberghi in provincia, è quasi tutto polacco: polacco residente – è la comunità straniera più numerosa in Islanda – o polacco importato per la stagione estiva).

Uscendo dal Tjöruhúsid, se non fa troppo freddo, diciamo da maggio ad agosto se avete fortuna, potete passeggiar­e un po’ tra i capannoni deserti del porto. Niente di memorabile, ma non lo sono in generale i villaggi dei fiordi occidental­i: quelli belli, bellissimi, si trovano a est. Ma la luce crepuscola­re di giugno riflessa sull’acqua del fiordo, quella sì è memorabile. Se siete in macchina, fate un chilometro fuori del paese in direzione di Bolungarví­k e fate un giro nel piccolo cimitero che trovate scendendo sulla vostra destra, a pochi metri dal mare: il pensiero di dover morire, con questa vista, e dopo questa cena, vi sembrerà meno amaro.

È stata inaugurato ieri la prima edizione di Arteparco2­018 con l'installazi­one « Animale – Vegetale » dell'artistades­igner Marcantoni­o Arteparco è un progetto per portare l'arte contempora­nea all'interno di uno

dei luoghi naturalist­ici più suggestivi d'Italia: il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e

Molise.

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