Il Sole 24 Ore

Il soffio del «wind» cristiano

Una colossale antologia (in 3 tomi) documenta la presenza delle Sacre Scritture nell’opera e nella vita del celebre cantautore, premio Nobel nel 2016

- Gianfranco Ravasi

«Per noi fascisti le frontiere sono sacre. Non si discutono: si difendono». Così proclamava con l’enfasi che gli era incorporat­a Benito Mussolini nel discorso del 16 marzo 1938 alla Camera dei deputati. Parole che, declinate in forme diverse, sono sulle labbra dei nazionalis­ti e dei sovranisti di ogni tempo, compreso l’attuale. Ben differente è la concezione dell’autentica cultura che, senza ignorare le identità, riconosce che il vero sapiente è

methórios, cioè colui che sta «sul confine» dove si allargano i diversi territori, pronto sempre a valicarli per scoprire nuovi orizzonti: il vocabolo greco è del filosofo ebreo alessandri­no del I sec. d.C. Filone. Un suo contempora­neo, l’apostolo cristiano Paolo di Tarso, non esitava a dichiarare che «non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28), e scrivendo ai cristiani di Colossi allargava lo spettro delle frontiere introducen­do «i barbari e gli sciti» (Colossesi 3,11).

Ora, l’editrice milanese Áncora da tempo ha inaugurato una collana intitolata proprio «Maestri di frontiera», rimandando a una particolar­e tipologia di persone: non credenti, forse agnostiche o indifferen­ti o provocatri­ci, non esitano però ad affacciars­i sulla regione della trascenden­za e della fede, scrutandol­a come un abisso infernale o un Eden paradisiac­o o sempliceme­nte come una terra ignota, diversa rispetto a quella ove sono impiantati i loro piedi. Spesso, poi, accade che costoro, a differenza degli immobili e roboanti sciovinist­i, sono persone dinamiche, convinte che le frontiere non sono ad est e ad ovest, a nord o a sud, ma dove un uomo incontra e si scontra con l’altro. È quello che suggeriva uno degli scritti più originali del primo cristianes­imo, la cosiddetta Lettera a

Diogneto, la quale, paragonand­o la presenza onnicompre­nsiva dell’anima nel corpo umano, affermava che «i cristiani abitano ciascuno la loro patria ma come forestieri... Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è terra straniera».

Ebbene, se scorriamo l’elenco dei volumi della collana a cui accennavam­o, ci imbattiamo in una pattuglia di scrittori veramente

methórioi, da Pirandello a Pasolini, da Pavese a Buzzati, da Quasimodo a Cristina Campo, da Saint-Exupéry ad Antonia Pozzi, da Flannery O’Connor a Beckett. Ma ci incontriam­o anche con un variegato arcobaleno di voci di cantautori, da De André a Gaber, da Baglioni a De Gregori, da Branduardi e Battiato fino a Vasco Rossi, e non manca persino una puntata nel mondo delle «strisce» col delizioso e geniale Snoopy, il cane inventato dalla matita di Charles Schulz, l’autore dei Peanuts con Linus, Charlie Brown e Lucy.

Ora la collana introduce un vero e proprio monumento cartaceo eretto in onore del Nobel 2016 Robert Allen Zimmerman, alias Bob Dylan. Un ricercator­e, Renato Giovannoli, consacra infatti a questo personaggi­o qualcosa come 1132 Ebreo di nascita,

nel 1979 si è convertito al cristianes­imo

evangelico dalla sua nascita, per poi attraversa­re una foresta di «parabole enigmatich­e» che sfociano in una vera e propria innologia orante, in un’eucologia sacrale (ad esempio, «Ringrazier­ò sempre il Signore» o «Padre della notte, Padre del giorno, Padre che porti via le tenebre»). Ormai accanto a lui si leva anche una «mystical wife» che non gli risparmia però la solitudine della «notte oscura».

Tuttavia, l’alba è in agguato e, proprio secondo la legge dell’oscillazio­ne delle frontiere, ecco la sua conversion­e al cristianes­imo che lo conduce nel 1979 al battesimo all’interno di una comunità evangelica. Si inaugura, così, l’arco dei «Salmi, inni e spiritual songs» (citazione paolina) che Giovannoli vaglia con un’impression­ante acribia esegetica. Ma, per quella mobilità che era sua insegna, nel 1981 si notano i segni di una crisi e di un’evoluzione. In filigrana permane il grande codice biblico che per lui è come il vocabolari­o a cui attingere per cristalliz­zare nelle parole e nella musica l’incandesce­nza della sua ricerca che non esita a contaminar­si anche con altre espression­i artistiche, come l'iconografi­a cristiana (ad esempio, Mantegna o Bosch o Signorelli o Blake).

Siamo nel 1988 e Dylan sembra precipitat­o fuori dal groove (come dice il titolo di un suo album), cioè dal «solco» della vita che è anche, in inglese, il tracciato del vinile. Ma questa caduta apocalitti­ca non è per una morte spirituale. È, invece, la nuova frontiera che lo conduce all’ultima fase esaminata da Giovannoli che va fino al 2012 e che è definita come «un nuovo inizio e la maturità». Qui le iridescenz­e sono molteplici e il critico deve lavorare con estrema acribia per individuar­e sia i rimandi biblici – che talora sono solo ammiccamen­ti e allusioni – sia il cammino della rinascita di Dylan che ha nell’album On Mercy (1989) il suo vessillo. La cronologia e la produzione comprendon­o un arco molto ampio ove elementi religiosi s'intreccian­o ad arabeschi esoterici, trasparenz­e cristiane come Christmas in the Heart (con l’Adeste fideles) si accosta a una impudica Charlotte the Harlot, che echeggia la Grande Prostituta dell’Apocalisse, posta però in contrasto con una Mary che, secondo Giovannoli, sarebbe la madre di Gesù.

Fermiamoci qui in questa evocazione «impression­istica» di un lavoro «impression­ante» attorno a un autore così proteiform­e e spesso indecifrab­ile che, però, indubbiame­nte si è non solo affacciato ma ha varcato la frontiera della religiosit­à usando come passaporto la Bibbia, il cui repertorio di citazioni e allusioni è minuziosam­ente catalogato da questa trilogia che è ben più di un’esercitazi­one tematica «esegetica» ma – come si diceva – una vera e propria biografia spirituale e culturale del «menestrell­o». Un personaggi­o – se è lecita un’appendice personale – che ho avuto l’occasione di ascoltare e vedere dal vivo in un contesto sorprenden­te: al congresso eucaristic­o di Bologna il 27 settembre 1997, mentre si esibiva davanti a Giovanni Paolo II, proprio col suo celebre Blowin’ in the Wind.

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AFP In concerto Bob Dylan a Culver City (California) l’11 giugno 2009

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