Il Sole 24 Ore

Manovra verso 25-30 miliardi: nodo risorse Spread ancora in calo

Il premier Conte: le riforme per la competitiv­ità parte integrante del bilancio Ma non c’è ancora l’intesa sui numeri e le misure: oggi nuovo summit Differenzi­ale BTp-Bund in calo a 255 punti dopo le rassicuraz­ioni ai mercati

- Rogari, Trovati, Lops, Palmerini

Nella prossima manovra ci saranno «riforme struttural­i a favore della competitiv­ità del sistema-Paese»: lo ha promesso il premier Conte alla fine del vertice di ieri sulla legge di bilancio. Ma numeri e misure devono ancora trovare un punto di equilibrio: l’incontro è stato aggiornato a oggi in vista dell’Ecofin. E c'è ancora della strada da fare per far quadrare le priorità di Lega (pensioni) e M5S (reddito di cittadinan­za). Sui tavoli del confronto, che anche ieri ha conosciuto momenti di tensione, la manovra oscilla fra i 26-7 miliardi della versione più leggera agli almeno 30 delle ipotesi più “ambiziose”.Il numero chiave resta il deficit: passati gli slanci delle settimane scorse, il tiro alla fune oscilla ora intorno a quota 2%.

Per il terzo giorno consecutiv­o, intanto, si allenta la tensione sul debito italiano, complici le rassicuraz­ioni del governo sulla legge di bilancio: lo spread BTp-Bund a 10 anni ha chiuso a 255 punti (a metà seduta ha toccato 248). Tre giorni di acquisti sui titoli di Stato hanno ridotto i tassi di 30 punti base (al 2,93%) sulla scadenza 10 anni e di 42 (all’1,02%) su quella a 2 anni.

Non c’è due senza tre. Per la terza giornata consecutiv­a si allenta la tensione sul debito pubblico italiano. E, di conseguenz­a, migliora il quadro borsistico del settore bancario che nei momenti di stress sui BTp ne paga algebricam­ente le conseguenz­e, dato che le banche italiane hanno in bilancio qualcosa come 400 miliardi in titoli governativ­i nostrani.

Ieri lo spread tra BTp e Bund a 10 anni ha terminato a quota 255 punti base (ma nel corso della seduta è sceso fino a 248). Siamo ancora lontani dai 175 di inizio maggio (quando le tensioni prima sulla nascita del nuovo governo Lega-M5S e dopo sui contenuti del “Contratto” dal neo esecutivo non erano ancora riverberat­e sui portafogli degli investitor­i) ma siamo altrettant­o lontani dai 291 di venerdì quando il termometro che misura la tensione sul debito si era portato su livelli che non affrontava dal 2013. Tre giorni consecutiv­i di acquisti sui titoli di Stato hanno ridotto i tassi di 30 punti base (dal 3,23% al 2,93%) sulla scadenza a 10 anni e di 43 (dall’1,45% all’1,02%) su quella a 2 anni. E hanno favorito un clima più disteso sul comparto del credito a Piazza Affari, zavorrato ad agosto da un ribasso del 17%. Ieri il Ftse Ita Banks - l’indice che sintetizza le performanc­e delle banche quotate sul listino milanese - è risalito del 2,5%. Il rimbalzo da inizio settimana è più corposo (+8,35%) e ben più ampio rispetto al +1,5% dell’indice generale (Ftse Mib) che sarebbe stato però più interessan­te se nell’ultima mezz’ora di scambi Piazza Affari non avesse vanificato quel +1% mantenuto per quasi tutta la giornata. Le banche restano comunque sotto osservazio­ne. Non a caso ieri l’agenzia Fitch ha rivisto da “stabile” a “negativo” l’outlook di cinque istituti di credito italiano (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Credem e Bnl) riflettend­o l’analoga decisione sull’outlook del rating sovrano dell’Italia.

A dare la scossa a spread e banche sono state le dichiarazi­oni rassicuran­ti del vicepremie­r Matteo Salvini che in un’intervista al Sole 24 Ore ha indicato che «l’obiettivo è di mantenere il rispetto dei vincoli e delle regole esterne, di non sforare alcunché».

Il precedente governo aveva messo in cantiere un deficit pari allo 0,8% del Pil per il 2019. Il nuovo governo intende evidenteme­nte alzare questa soglia. Ma le tensioni delle ultime settimane sono state originate dalla nascita di un altro spread, quello tra le parole contraddit­torie degli esponenti del governo. Il sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti ha aperto - dopo il crollo del ponte Morandi a Genova - anche all’ipotesi di superare la soglia del 3% per far partire un grande piano di investimen­ti in opere pubbliche. Il tutto mentre il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha in più occasioni ribadito l’intento di non sforare il 2%. Portando lo spread con il Bund oltre i 290 punti la scorsa settimana gli investitor­i hanno scontato, molto sempliceme­nte, questo scenario di incertezza e di confusione. Ma nelle ultime ore il quadro si è ricomposto e lo “spread verbale” all’interno dell’esecutivo si sta ridimensio­nando. Perché Salvini ha fatto un passo indietro. Mentre il 5 agosto dichiarava «la regola del 3% non è la Bibbia» (aprendo a una rottura con la Commission­e europea) un mese dopo ha escluso lo scenario di scontro. «Il dibattito su 1,7 o 1,9 o 2,4 o 2,9 arriva alla fine. Prima ci mettiamo i contenuti». Parole - a cui si è allineato anche l’altro vicepremie­r, Luigi Di Maio, che hanno per ora arginato le paure degli investitor­i che nei prezzi dei BTp non scontano più il “worst scenario”, un litigio con l’Ue.

Tra il dire e il fare però c’è di mezzo il Def. Entro il 27 settembre il governo dovrà pubblicare la nota di aggiorname­nto al Documento di economia e finanza dello scorso aprile. Allora il numero magico del deficit che è diventato il cruccio degli investitor­i sarà effettivam­ente noto, al netto delle tante parole ascoltate questa estate.

C’è da dire che mentre BTp e Piazza Affari si interrogan­o sui problemi di casa le altre Borse sono focalizzat­e sugli altri due market mover del momento. La guerra dei dazi commercial­i è tutt’altro che risolta, dato che mancano poche ore alla chiusura delle consultazi­oni pubbliche per l’introduzio­ne delle nuove tariffe (25% su 200 miliardi di beni importati dagli Usa). Gli operatori vedono poi in bilico anche il Nafta. Nonostante l’accordo bilaterale già raggiunto la scorsa settimana tra Usa e Messico, rimangono aperti i negoziati con il Canada.

Il secondo market mover arriva dai Paesi emergenti le cui Borse, appesantit­e dal crollo delle valute (ai recenti cali di lira turca e peso argentino si sono aggiunte nelle ultime ore forti vendite su rupia indonesian­a e rand sudafrican­o) sono difatti entrate nel “mercato orso”. Ieri il Ftse emerging index ha ceduto l’1,6%. È il sesto ribasso di fila che ha portato il passivo dai picchi di gennaio oltre il 20%, la soglia che appunto delimita tecnicamen­te una normale correzione dall’ingresso (ci si augura di no) in un territorio di ribassi più profondi.

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AGF La Borsa. Piazza Affari ha azzerato i guadagni in chiusura do dopo po una se seduta duta c che he l’aveva vista unica in progresso in Europa, soste sostenuta nuta dall dall’andamento ’andamento delle banche, spinte dal calo dello s spread pread

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