Crollo del ponte: indagate 20 persone e Autostrade
Regolazione all’Art. Paralisi su ricostruzione: smentito finanziamento pubblico
La procura di Genova ha iscritto nel registro degli indagati 20 persone per il crollo del ponte Morandi: le accuse sono omicidio colposo plurimo, disastro colposo e attentato colposo alla sicurezza dei trasporti. Indagata anche Autostrade per omicidio colposo plurimo aggravato.
La riunione tecnica che si è tenuta a Palazzo Chigi mercoledì, a metà giornata, ha evidenziato più problemi che soluzioni per il decreto legge su emergenza Genova, ricostruzione del Ponte e riforma delle concessioni. Sul Ponte il mantra politico dei Cinquestelle resta “Autostrade paga, lo Stato ricostruisce” ma passare dalle parole ai fatti (giuridici) resta complicato. Sembra assodato, al momento, che sull’opera il concessionario e la concessione restino: l’iniziale impeto M5S che puntava a cancellare la concessione subito sul Ponte si è scontrato con l’esigenza del finanziamento. Se Autostrade deve pagare, non può che tenere la concessione. Altrimenti a che titolo pagherebbe?
Se il concessionario resta, resta anche la concessione con le sue regole (convenzionali e legislative) che - sul fronte dei lavori - prevede la realizzazione del 40% in house (cioè affidato a società del gruppo Autostrade senza gara) e il 60% affidato a terzi con gara. Questa regola si può derogare - il decreto legge servirebbe in primis a questo - ma sarebbe utile farlo in accordo con Aspi. Se si affidasse con l’opposizione di Aspi il 100% di progettazione e lavori a un’Ati senza Aspi sarebbe possibile un ricorso del concessionario, chiamato a pagare, ma estromesso dalle altre funzioni.
Più equilibrato sul piano giuridico il «modello Toti», cioè “Autostrade paga ma partecipa alla progettazione e alla realizzazione ”. Per il governatore della Liguria questa scelta chiamerebbe A spia maggiore responsabilizzazione. Si aprirebbe una partita negoziale sulle quote di partecipazione all’Ati ma se ne potrebbe affidare la guida a Fincantieri. Si adatterebbe la regola vigente sulla ripartizione 60-40 dei lavori che Aspi ha sempre difeso per difendere il proprio in house, in una logica an ti concorrenziale, anche all’interno del nuovo codice appalti.
Si eviterebbe però di affidare per legge un appalto a un soggetto precostituito (che dovrebbe comunque dimostrare i requisiti per realizzare il lavoro), a trattativa privata, senza gara, in contrasto con le regole della concorrenza e della Ue.
Il rischio del «modello M5S» è una battaglia legale che potrebbe frenare la ricostruzione del Ponte. Non a caso Toti ha sempre detto che la priorità è ridurre i tempi al massimo. Il rischio di aprire contenziosi che durino non mesi ma anni appare concreto. A quel punto - per aggirare il rischio di paralisi - si dovrebbe ipotizzare forse un finanziamento pubblico insieme alla ricostruzione pubblica?
L’ipotesi di un finanziamento pubblico - magari tramite Cdp - si è affacciata nella riunione di mercoledì ed è stata stoppata dal Mef. Il ministero delle Infrastrutture smentisce che l’ipotesi sia all’ordine del giorno e che M5s la prenda in considerazione.
C’è poi il tema della revoca della concessione ad Aspi su cui il governo sembra marciare compatto (con differenze di non poco conto su responsabilità da dimostrare, tempi e indennizzo). La divisione Lega-M5s cresce quando si deve decidere se nazionalizzare o fare una nuova gara. Ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha citato per la prima volta questa seconda ipotesi che era stata lanciata dal sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti. La via della nazionalizzazione è oggi priva di uno sbocco operativo plausibile. Anas ha già detto di non essere in grado di gestire la rete autostradale e l’ipotesi pure ventilata di affidare la gestione autostradale a Fincantieri (magari spostando Anas sotto il suo controllo da Fs) non trova conferme e soprattutto non sembra praticabile (né presa in considerazione da Fincantieri stessa).
Se invece si decidesse di lasciare a un concessionario privato (scelto con gara) la gestione, si andrebbe in direzione di un sistema più concorrenziale (che finora è mancato totalmente) e si potrebbe potenziare e riorganizzare con il decreto legge il sistema di regolazione e controlli, affidando all’Autorità di regolazione trasporti (Art) i poteri regolatori che gli furono negati nel 2011 sulle concessioni vigenti e che oggi sono divisi fra il Nars -Cipe (Palazzo Chigi) e il Mit. Resterebbe l’esigenza di un potere di vigilanza e ispettivo forte e strutturato: si fa l’ipotesi di una nuova Agenzia che assumerebbe un centinaio di ingegneri e tecnici in funzione ispettiva e assorbirebbe le competenze dell’Agenzia sulla sicurezza ferroviaria.