Il popolo dei delusi che credeva alla chiusura totale
Proteste e accuse via social soprattutto ai parlamentari del Movimento 5 Stelle
L’Ilva non chiuderà. Con la firma dell’accordo al Mise adesso è certo. In verità, in una città economicamente legata alla siderurgia da quasi 60 anni, nessuno ha mai chiesto la chiusura dell’acciaieria all’infuori di una serie di movimenti, associazioni e comitati, tutti su una linea radicale: spegnere altiforni e acciaierie, bonificare l’immensa area occupata dallo stabilimento impiegando il personale Ilva, riconvertire l’economia puntando su turismo, beni culturali, imprese sostenibili e valorizzazione delle attività legate al mare. Una richiesta portata all’attenzione di piú ministri ma che non ha trovato ascolto. Lo stesso Di Maio mai ha parlato di fermare l’Ilva. Nemmeno quando è stato a Taranto in campagna elettorale. Certo, il M5s ha assunto sul punto posizioni spesso poco chiare. Così hanno fatto crescere l’incertezza e alimentato grandi aspettative. Soprattutto quando nel contratto di Governo hanno scritto «chiusura delle fonti inquinanti» e un loro parlamentare in missione a Taranto (Lorenzo Fioramonti) ha ipotizzato la «chiusura progressiva». Ma più passavano i giorni, più si notava uno stacco significativo tra la gestione di Di Maio (che ha definito “posizione personale” la proposta di Beppe Grillo di chiudere per costruire un grande parco giochi) e quanto emergeva a livello locale. Quest’ultimo più incline ad assecondare le spinte forti della base. Ieri sera i movimenti del no all’Ilva sono tornati in piazza a protestare. Ma sono i cinque parlamentari M5S eletti a Taranto ad essere nel mirino. Sotto pressione sui social, sono accusati di “tradimento” del mandato elettorale e invitati a dimettersi. Il presupposto di chi chiede questo è che il M5S ha preso a Taranto più del 50% dei voti perché si è impegnato a far chiudere l’Ilva. O, almeno, lo ha fatto credere.
«Non è affar mio quello che dovrà giustificare al proprio elettorato chi ha azzardato strampalate teorie - dice il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, del Pd -. La politica strumentale ha fatto un passo indietro e ha prevalso il buon senso. Taranto può finalmente guardare al futuro con maggiore fiducia, anche se tanto c’è ancora da fare in termini di bonifiche, tutela della salute e diversificazione produttiva. Mi sembra di comprendere che in molti aspetti, al netto di qualche numero, l’accordo sia figlio della piattaforma che già avevamo contribuito ad allestire con il precedente ministro». E adesso, per il sindaco di Taranto, «archiviata la vertenza occupazionale, dopo il 15 settembre avvieremo il nostro confronto con la nuova proprietà sugli altri temi di interesse per la cittadinanza». Secondo Vincenzo Cesareo, presidente di Confindustria Taranto, l’accordo per l’Ilva “è un momento importante per chi, come noi, da diverse settimane sosteneva la necessità di chiudere l’intesa, dare certezze al territorio, ai lavoratori, alle imprese, avviare il rilancio industriale di una grande azienda e accelerare l’azione di risanamento ambientale. Detto questo, adesso comincia la vera partita. Arcelor Mittal - rileva Cesareo - dovrà mettersi al lavoro, rispettare gli impegni, confrontarsi con la città e col territorio. Attendiamo molto questa fase. La riteniamo di fondamentale importanza. Il confronto, le buone relazioni, l’apertura al sistema locale sono i presupposti per fare del rilancio e del risanamento dell’Ilva una battaglia vincente. C’è un buon accordo e i numeri occupazionali sono stati aumentati. Partiamo da qui tutti insieme per proseguire un percorso di positività. La svolta dell’Ilva ha bisogno di tutti, dell’azionista come del management, dei lavoratori come delle imprese dell’indotto».
Sulla questione Ilva è intervenuto anche il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano: «Senza garanzie sulla salute dei miei concittadini io non darò mai il mio assenso al piano ambientale. Cioè Taranto deve sapere che il presidente della Regione non farà un passo indietro per nessun motivo».