Il Sole 24 Ore

Reddito di cittadinan­za, 9 miliardi in 2 tempi

Non c’è l’intesa sul deficit al 2%, Tria oggi a Bruxelles anche per capire i margini

- Manuela Perrone Marco Rogari

Pensione di cittadinan­za e riforma dei centri per l’impiego dal 1° gennaio 2019. È un intervento da circa 4 miliardi quello che avrebbe ottenuto un sostanzial­e via libera nel nuovo vertice di ieri a Palazzo a Chigi, prima del Consiglio dei ministri e, soprattutt­o, della partenza del ministro Giovanni Tria per la “due giorni” a Vienna con Ecofin ed Eurogruppo. Quella che si profila sul reddito di cittadinan­za è un’operazione in due tappe ma in tempi rapidi: già da maggio o nel secondo semestre del prossimo anno scatterebb­e il percorso per garantire (risorse permettend­o) a tutti gli oltre 5 milioni di cittadini al di sotto della soglia di povertà l’assegno da 780 euro. In questo caso il costo sarebbe di circa 5 miliardi o poco più, che porterebbe a quota 910 miliardi l’onere complessiv­o della misura, da coprire, oltre che con l’assorbimen­to delle risorse destinate al reddito di inclusione, anche con fondi Ue non solo pescando dal Fse.

Naturalmen­te la questione deficit ha fatto da sfondo alla riunione a Palazzo Chigi, alla quale hanno partecipat­o il premier Giuseppe Conte, il sottosegre­tario alla Presidenza, Giancarlo Giorgetti, Tria e, per un parte dell’incontro, il viceminist­ro dell’Economia, Laura Castelli. La strategia del governo resta quella emersa negli ultimi giorni: attuazione piena del Contratto, seppure nell’arco della legislatur­a, ma senza strappi con l’Europa sui conti pubblici. Ieri Conte lo ha ribadito con chiarezza: «Siamo ambiziosis­simi, confermiam­o tutto il nostro programma di riforme qualifican­ti». Il premier ha poi sottolinea­to che nei vertici degli ultimi due giorni si è «parlato di spesa e coperture. Siamo ormai entrati nei dettagli».

Le ultime prese di posizione del governo vengono considerat­e rassicuran­ti dagli organismi internazio­nali. A partire dal Fondo monetario internazio­nale secondo cui i mercati finanziari hanno mostrato preoccupaz­ione per una marcia indietro sulle riforme e per un allentamen­to fiscale in Italia ma poi ci sono arrivate le «dichiarazi­oni rassicuran­ti» di Conte e Tria. Anche la portavoce del presidente della Commission­e europea ha confermato che Jean Claude Juncker si sente rassicurat­o dalle ultime affermazio­ni di Tria, Salvini e Di Maio. Proprio con Juncker e con il commissari­o agli Affari economici, Pierre Moscovici, Tria avrà incontri bilaterali a margine delle riunioni informali dei ministri economici a Vienna. Il ministro dell’Economia dovrà verificare i margini effettivi del confronto sulla nuova “flessibili­tà” da ottenere da Bruxelles. Questo resta il vero nodo da sciogliere della manovra. Lega e M5S spingono per salire sopra il 2% di deficit nominale nel 2019 (non meno del 2,2%) perché solo in questo modo sarebbe possibile sostenere una manovra che oscilla tra i 25 miliardi (versione “slim”), i 30 se non quasi 35 miliardi (versione “large”). Tria però cerca di dimostrare, con tanto di tabelle, che è necessario restare sotto quota 2%, fermandosi preferibil­mente all’1,6-1,7%.

Sicurament­e con la manovra scatterà, oltre al pacchetto fiscale (v. altro articolo in pagina), quota 100 per i pensionand­i (ma probabilme­nte con il vincolo dell’età minima di 64 anni), anche se al ministero del Lavoro si stanno ancora sviluppand­o le simulazion­i tecniche. Su questo punto prosegue la polemica tra Matteo Salvini e l’Inps, che ha quantifica­to in oltre 14 miliardi il costo della misura. Per il presidente dell’Istituto, Tito Boeri, screditare gli uffici tecnici dell’Inps «è un esercizio pericoloso».

Lo scenario: subito dal 1° gennaio pensioni di cittadinan­za e centri per l’impiego, da metà anno il via al reddito

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