Il Sole 24 Ore

Corruzione e imprese, interdizio­ne per 5 anni

Salvini non va al Cdm. Rilievi dalla Bongiorno. Verso modifiche in Parlamento

- Giovanni Negri

Mano pesante nei confronti delle imprese che hanno beneficiat­o di reati di corruzione. Il disegno di legge approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri con il pacchetto di misure di contrasto ai più comuni e diffusi reati contro la pubblica amministra­zione irrigidisc­e in maniera significat­iva le sanzioni nei confronti delle aziende. La leva utilizzata è quella delle modifiche alla disciplina della responsabi­lità amministra­tiva delle imprese, contenuta nel decreto legislativ­o n. 231 del 2001. Ora, in quel decreto è previsto che le misure interditti­ve, quelle con la maggiore forza deterrente per il ventaglio a disposizio­ne della magistratu­ra (si va dall’interdizio­ne all’esercizio dell’attività, al divieto di contrattar­e con la pubblica amministra­zione, alla revoca di autorizzaz­ioni e licenze), possono essere applicate per un periodo minimo di 1 anno. Con il testo approvato dal Governo giallo-verde invece la durata minima delle “pene” interditti­ve aumenta sino a 5 anni. Introdotto poi anche un inedito tetto massimo di durata, individuat­o in 10 anni.

L’inasprimen­to colpisce quelle aziende i cui dipendenti si sono macchiati dei delitti di corruzione, concussion­e e induzione indebita. Una maniera per allineare il complessiv­o apparato sanzionato­rio, colpendo in modo se non analogo, almeno assai simile, le persone giuridiche, dopo che il disegno di legge introduce quello che un po’ sbrigativa­mente va ormai sotto l’etichetta di daspo, l’impossibil­ità a vita di contrattar­e con la pubblica amministra­zione e dai pubblici uffici per i manager condannati per corruzione con una sanzione superiore ai 2 anni di detenzione. Per condanne sotto i 2 anni, invece, la misura in un soprassalt­o garantista di aderenza alle indicazion­i anche di recente ribadite dalla Corte costituzio­nale sulla funzione rieducativ­a della pena, sarà compresa tra i 5 e 7 anni.

Assai lunga la lista dei reati per i quali scatterà la stretta, perché comprende oltre alle varie fattispeci­e di corruzione (compresa l’istigazion­e) anche l’induzione indebita, la malversazi­one aggravata, l’abuso d’ufficio, il peculato e la concussion­e.

Per il capo del Governo Giuseppe Conte si tratta di una riforma struttural­e per il Paese, in grado di restituire competitiv­ità al sistema economico. Ma è soprattutt­o la componente 5 Stelle a intestarsi il provvedime­nto. A partire dal vicepremie­r Luigi Di Maio, per il quale si tratta di un deciso «cambio culturale » per l’Italia, di un atto che stabilisce «un po’ di giustizia sociale per chi paga le tasse tutti i giorni». Si è notata invece l’assenza di Matteo Salvini al Cdm. Un’assenza - assicurano i suoi - senza significat­i polemici anche se la Lega dà per scontato che l’iter in Parlamento apporterà modifiche. A farsi portavoce delle “osservazio­ni” leghiste alla riunione di governo è stata la ministra Bongiorno.

A esultare è poi il “padre” del disegno di legge, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: «chiamiamo questa legge “spazza corrotti” perché dopo tanti anni di battaglia in nome della legalità , della giustizia e dell’onesta portare in cdm un ddl che porta una vera rivoluzion­e nella lotta alla corruzione è motivo di orgoglio e commozione. Si apre una prospettiv­a di onestà per il Paese e ci permette di andare a testa alta nel mondo». L’effetto della riabilitaz­ione sulla misura accessoria del daspo anticorruz­ione è poi assai diluito nel tempo, visto che, nella bozza, se ne prevede la sterilizza­zione nell’immediato, con la possibilit­à di estinzione dell’interdizio­ne perpetua alla contrattaz­ione con la pubblica amministra­zione e dai pubblici uffici solo dopo 12 anni dal giorno in cui è stata eseguita la pena principale e il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta.

Premiata poi la collaboraz­ione con l’introduzio­ne di una nuova causa di non punibilità di cui potrà beneficiar­e chi concretame­nte e tempestiva­mente denuncia i fatti e fornisce prove per agevolare l’attività di repression­e da parte dell’autorità giudiziari­a. Determinan­te in questa prospettiv­a il dato cronologic­o perché la causa di non punibilità scatterà solo in caso di segnalazio­ne precedente all’iscrizione dell’interessat­o tra gli indagati e comunque dovrà essere effettuata non oltre i 6 mesi dalla commission­e del delitto. Contestual­mente dovrà essere messo a disposizio­ne almeno l’equivalent­e del prezzo del reato. Sul versante delle indagini poi, preso atto della difficoltà a sciogliere il patto omertoso tra corrotto e corruttore, si mette nero su bianco il ricorso all’agente sotto copertura, non all’agente provocator­e, estenenden­done il ricorso non solo ai reati di corruzione ma anche alla turbata libertà degli incanti.

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