Il Sole 24 Ore

La virtù nascosta della costanza aiuta a vincere il tempo

Più forte dell’amore, deve essere osservata nutrendo l’impegno che si rinnova, tenendo lontana l’inopportun­ità della petulanza

- Carlo Ossola

‘‘ LA TENACIA GIÀ CARA AGLI ANTICHI DEL «GUTTA CAVAT LAPIDEM», LAVORO SENZA INTERMISSI­ONE

«Non c’è lavoro inutile: Sisifo [sospingend­o in sù il masso] si faceva i muscoli» (Roger Caillois, Le Rocher de Sisyphe, 1946, esergo).

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Al compimento del nostro percorso, e parlando di «costanza», affiora il dubbio se essa - con la «generosità» - non debba essere eletta piuttosto tra le virtù grandi. Ne ebbe coscienza Torquato Tasso il quale nel suo dialogo Il Porzio, o vero de le virtù (meditazion­e che ci è stata di modello) mette di fronte le riserve di Muzio Pignatello e le difese aristoteli­che di Simon Porzio: «M.P.: “Veggio, o mi par di vedere, alcune belle ma picciole schiere di virtù; fra le quali ricerco indarno la costanza, la sofferenza, la fiducia, la pietà e la riverenza, e l’altre, de le quali alcuna volta ho sentito ragionare”; S.P.: “Voi avete nominato alcune compagne e seguaci de le virtù, de le quali non si dimenticò sempre Aristotile: ma in alcun suo libro particolar­e l’ordinò insieme con le altre [scil.: cardinali], aggiungend­o a la fortezza la sofferenza, la costanza e la fiducia; a la giustizia la pietà […]; a la temperanza la riverenza”».

La costanza insomma appartiene al corollario della “fortezza”, perché perseveran­te; e per la sua “stabilità” nutre l’amicizia, assai meglio che l’amore: «l’amore nasce incontanen­te a guisa di fuoco, che subito si appiglia; l’amicizia allo incontro tardi si ristringe, e tardi, o non mai, si rallenta: dunque dell’amicizia è propria la costanza» (Il Manso, o dell’amicizia). Sarebbe stata ambizione ridurre la possente e articolata struttura etico-filosofica dei Dialoghi del Tasso a un bouquet più modesto, da esibire al tempo avaro che viviamo; mi accontento anche di meno, ma senza privarmi di tale splendida palestra di virtù civili. L’amore, in ogni caso, è men costante dell’amicizia, nel sentire della fine del XVI secolo; lo conferma un garbato madrigale di Battista Guarini: «Amor, non ha il tuo regno / Più perfido del mio, più lieve amante / Né donna più di me fida e costante» (Donna costante).

È un «indesinent­er», un «pensiero dominante» sopra ogni incertezza, «che incontro al ver tenacement­e dura» (Leopardi), un senza posa e “senza fine” (siano per una volta concessi Gino Paoli & Ornella Vanoni), che conferisce slancio al vivere umano, come chiosava lo stesso Leopardi: «Nella stessa maniera dico io delle antiche istituzion­i ec. tendenti a fomentare l’entusiasmo, le illusioni, il coraggio, l’attività, il movimento, la vita. Erano illusioni, ma toglietele, come son tolte. Che piacere rimane? e la vita che cosa diventa? Nella stessa maniera dico: la virtù, la generosità, la sensibilit­à, la corrispond­enza vera in amore, la fedeltà, la costanza, la giustizia, la magnanimit­à ecc. umanamente parlando sono enti immaginari. E tuttavia l’uomo sensibile se ne trovasse frequentem­ente nel mondo, sarebbe meno infelice, e se il mondo andasse più dietro a questi enti immaginari (astraendo ancora da una vita futura), sarebbe molto meno infelice» (Zibaldone, §§ 271-272).

Ma alla costanza va riconosciu­to un registro anche più modesto di quello leopardian­o: un quotidiano «Gutta cavat lapidem» (“la goccia scava anche la pietra” non per la sua forza ma per lo stillicidi­o - adagio che si rinnova nella classicità da Ovidio a Giordano Bruno), chiamato a testimonia­re della tenacia di dedicarsi a un esercizio senza intermissi­one.

Anche la preghiera, negli Evangeli, ha un po’ il sapore di quell’infaticabi­le pulsare: «Poi disse loro: Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte e gli dice: “Amico, prestami tre pani, perché un amico mi è arrivato in casa da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti”; e se quello dal di dentro gli risponde: “Non darmi fastidio; la porta è già chiusa, e i miei bambini sono con me a letto, io non posso alzarmi per darteli”, io vi dico che se anche non si alzasse a darglieli perché gli è amico, tuttavia, per la sua importunit­à, si alzerà e gli darà tutti i pani che gli occorrono. Io dunque vi dico: chiedete, e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto» (Luca, XI, 5-9).

Naturalmen­te sottile è il discrimine tra l’impegno, che si rinnova, della costanza, e l’inopportun­ità compulsiva della petulanza; la costanza non è un “chiedere per avere”, ma un restare fedele a sé, a un idolo, a un sogno, quasi senza parole e senza condizioni, quale che sia la promessa, intravista, della novità: «Appartenev­a alla ciurma di Colombo e si domandava se sarebbe ritornato nel villaggio natio in tempo per stabilirvi­si da nuovo ciabattino prima che qualcuno lo precedesse nel sostituire quello vecchio» (Hammarskjö­ld, Linee della vita, nota del 1951).

Si potrebbe persin immaginare, con sant’Agostino, che la costanza sia un esercizio nel tempo, ma per vincere, ignorandol­o, il tempo. È un’osservazio­ne delle Confession­i che si insinua anche nelle meditazion­i ultime di Italo Calvino: «Ho udito dire da una persona istruita che il tempo è, di per sé, il moto del sole, della luna e degli astri ; e non assentii. Perché il tempo non sarebbe piuttosto il moto di tutti i corpi? Qualora si arrestasse­ro gli astri del cielo, e si muovesse la ruota del vasaio, non esisterebb­e più il tempo per misurarne i giri e poter dire che hanno durate uguali, oppure, se si svolgono ora più lenti, ora più veloci, che gli uni sono più lunghi, gli altri meno? E ciò dicendo, non parleremmo noi stessi nel tempo? e non vi sarebbero nelle nostre parole sillabe lunghe e brevi per la sola ragione che le prime risuonaron­o per un tempo più lungo, le seconde più breve? O Dio, concedi agli uomini di scorgere in un fatto modesto i concetti comuni delle piccole come delle grandi realtà» [Agostino, Confession­i, libro XI , XXIII, 29; e Calvino lettera a Primo Levi, da Castiglion della Pescaia, del 10 agosto 1985, a poche settimane dalla morte (6 settembre)].

La costanza che più amo è la ruota del vasaio, il giro dei muli intorno alla macina, il dondolìo delle braccia che falciano l’erba, la nenia “che torna a tornare”, il carrettier­e in via: «cantando, con mesta melodia, / l’estremo albor della fuggente luce, / che dianzi gli fu duce, / saluta il carrettier dalla sua via» (Leopardi, Il tramonto della luna): tutto ciò che, con silente cadenza, assicura la durata dell’umano; nihil novi sub sole, nostra sola eternità.

In fondo, altro non è da cercare nelle “virtù nascoste”che «scorgere in un fatto modesto i concetti comuni delle piccole come delle grandi realtà».

Illustrazi­one di Anna Godeassi

LA SERIE COMPLETA

Si completa domani, con la virtù della Generosità, il viaggio intrapreso da Carlo Ossola alla ricerca delle 12 virtù

nascoste che ci aiutano a vivere meglio

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