La guerra a Trump nelle stanze della Casa Bianca
Le critiche pesantissime nell’articolo attribuito a un membro del Governo La talpa: il presidente agisce in maniera dannosa per la salute della Nazione
Alla Casa Bianca tutte le sedie dello staff di Trump scricchiolano in queste ore. Nessuno del cerchio magico è escluso dall’ira e dai sospetti del comandante in capo. Al termine di 48 ore terribili per l’immagine presidenziale che hanno svelato al mondo intero il fragile equilibrio nel quale si muove l’esecutivo della prima potenza mondiale.
Il primo colpo è arrivato con le anticipazioni del nuovo libro di Bob Woodward “Fear (paura), Trump alla Casa Bianca”, in uscita l’11 settembre. Woodward, 75 anni, è un simbolo vivente del giornalismo investigativo. Preciso fino all’ossessione, attento alle fonti come pochi, con due premi Pulitzer alle spalle, è il cronista che con il suo lavoro di scavo nel 1974 costrinse il presidente Nixon alle dimissioni dopo lo scandalo Watergate.
Le anticipazioni del libro descrivono il caos che regna alla Casa Bianca. I collaboratori del presidente parlano di una “crazytown”, un manicomio. Di un uomo autoritario, irascibile e impulsivo: «Un idiota». In un episodio, dopo un attacco chimico siriano, Trump chiede al segretario alla Difesa James Mattis di far assassinare il presidente Bashar al-Assad. Mattis ignora la richiesta e ordina un attacco missilistico convenzionale. Ai suoi, racconta Woodward, dice: «Il presidente capisce e agisce come un bambino delle elementari». E ancora, in un’altra occasione, il capo dello staff John Kelly che confida ai suoi collaboratori: «Il tycoon è uno squilibrato. È anche un idiota. È inutile tentare di convincerlo. È fuori controllo. Siamo in un manicomio». Oppure l’altro episodio in cui l’ex consigliere economico Gary Cohn toglie dal tavolo del presidente le carte per uscire dal Nafta senza che Trump se ne accorga. Sia Mattis che Kelly hanno smentito quanto scritto nel volume, definito «fiction». Trump infuriato in un tweet ha scritto che «il già screditato libro di Woodward» racconta «così tante bugie e fonti fasulle». Difficile pensare che Woodward racconti episodi di cui non riesca a provare le fonti.
Ad aggiungere benzina, poche ore dopo, il Washington Post ha pubblicato l’audio e la trascrizione della telefonata di 11 minuti tra Trump e Woodward ai primi di agosto. Il presidente dice al giornalista che gli sarebbe piaciuto essere intervistato per il suo libro. Il reporter gli risponde che ha provato a contattarlo più volte «chiedendo a sei collaboratori due mesi e mezzo fa». Ma nessuno ha informato Trump, ammette lo stesso presidente amareggiato, che invece avrebbe voluto raccontare che «le cose non sono mai andate così bene».
Ieri il secondo fendente lanciato a Trump e alla sua gestione, ancora più pesante, è arrivato da una straordinaria lettera pubblicata dal New York Times scritta da un «alto esponente» anonimo dello staff presidenziale. Un repubblicano, di nomina politica, non un funzionario (in un tweet il Nyt, per sbaglio, ha rivelato che si tratta di un uomo). «Noi vogliamo - scrive la gola profonda - che l’amministrazione abbia successo. Pensiamo che molte delle politiche di Trump abbiano reso l’America più sicura e più prospera, ma pensiamo che il presidente continui ad agire in un modo che è dannoso alla salute della nostra Repubblica». L’autore della lettera si è detto parte di «una resistenza» dentro il governo che a un certo punto aveva preso in considerazione persino il ricorso al 25esimo emendamento della Costituzione americana: il passaggio dei poteri al vice nel caso in cui il presidente non sia in grado di esercitare i poteri e i doveri del suo ufficio. Non sarebbe la prima volta. Successe negli anni Venti, con Woodrow Wilson gravemente malato nella parte finale della sua presidenza, sostituito dalla moglie Edith che prese decisioni in suo nome. Successe allo stesso modo negli ultimi tempi di Ronald Reagan. E soprattutto durante i giorni finali della presidenza Nixon, quando il presidente depresso e sempre ubriaco per il Watergate, fu messo di fatto da parte dal segretario alla Difesa James Schlesinger che chiese ai suoi di non accettare nessun ordine dal presidente sui lanci nucleari senza prima sentire il segretario di Stato Henry Kissinger.
L’editorialista anonimo conclude: «Gli americani devono sapere che ci sono degli adulti nello studio (ovale). Riconosciamo cosa sta succedendo e stiamo tentando di fare ciò che è giusto, anche quando Trump non vuole».
L’ira di Trump non si è fatta attendere. Nella notte americana il primo tweet: «Sto drenando la palude e la palude sta cercando di contrattaccare. Non preoccuparti, vinceremo!». Seguito da altri messaggi infuriati. Il presidente parla di «vergogna», di «TRADIMENTO», definisce la talpa un «senza palle, un vigliacco senza spina dorsale». Alla Casa Bianca è partita la caccia alla talpa. Trump ha chiesto al Times di rivelare «il nome della gola profonda» invocando «motivi di sicurezza nazionale». Il giornale difende la scelta di resistere: «Oggi il Times sta facendo il raro passo di pubblicare un editoriale anonimo (…). È l’unico modo per dare ai nostri lettori un punto di vista importante». I più stretti collaboratori di Trump hanno preso le distanze dall’estensore. Nel tentativo di togliere anche i sospetti su di loro. Lo ha fatto per primo il vice presidente Mike Pence. Seguito dal segretario di Stato Michael Pompeo.
Sono forse i giorni più difficili della presidenza Trump. Scaricato persino dai suoi più stretti collaboratori. Pochi giorni dopo i funerali di John McCain, repubblicano e simbolo bipartisan del Paese, che non lo ha voluto al suo ultimo saluto. L’America repubblicana comincia a manifestare nervosismo e insofferenza per la presidenza poco ortodossa del tycoon. A poche settimane dalle elezioni di midterm. E con l’inchiesta del procuratore speciale Mueller per il Russiagate che incombe sul primo inquilino della Casa Bianca.
Su tutte le voci critiche, spicca quella di John Kerry, segretario di Stato con Obama. Kerry parla di una «vera e propria crisi costituzionale» e di una presidenza che «è deragliata ormai fuori dai binari».