Il Sole 24 Ore

La guerra a Trump nelle stanze della Casa Bianca

Le critiche pesantissi­me nell’articolo attribuito a un membro del Governo La talpa: il presidente agisce in maniera dannosa per la salute della Nazione

- di Riccardo Barlaam

Alla Casa Bianca tutte le sedie dello staff di Trump scricchiol­ano in queste ore. Nessuno del cerchio magico è escluso dall’ira e dai sospetti del comandante in capo. Al termine di 48 ore terribili per l’immagine presidenzi­ale che hanno svelato al mondo intero il fragile equilibrio nel quale si muove l’esecutivo della prima potenza mondiale.

Il primo colpo è arrivato con le anticipazi­oni del nuovo libro di Bob Woodward “Fear (paura), Trump alla Casa Bianca”, in uscita l’11 settembre. Woodward, 75 anni, è un simbolo vivente del giornalism­o investigat­ivo. Preciso fino all’ossessione, attento alle fonti come pochi, con due premi Pulitzer alle spalle, è il cronista che con il suo lavoro di scavo nel 1974 costrinse il presidente Nixon alle dimissioni dopo lo scandalo Watergate.

Le anticipazi­oni del libro descrivono il caos che regna alla Casa Bianca. I collaborat­ori del presidente parlano di una “crazytown”, un manicomio. Di un uomo autoritari­o, irascibile e impulsivo: «Un idiota». In un episodio, dopo un attacco chimico siriano, Trump chiede al segretario alla Difesa James Mattis di far assassinar­e il presidente Bashar al-Assad. Mattis ignora la richiesta e ordina un attacco missilisti­co convenzion­ale. Ai suoi, racconta Woodward, dice: «Il presidente capisce e agisce come un bambino delle elementari». E ancora, in un’altra occasione, il capo dello staff John Kelly che confida ai suoi collaborat­ori: «Il tycoon è uno squilibrat­o. È anche un idiota. È inutile tentare di convincerl­o. È fuori controllo. Siamo in un manicomio». Oppure l’altro episodio in cui l’ex consiglier­e economico Gary Cohn toglie dal tavolo del presidente le carte per uscire dal Nafta senza che Trump se ne accorga. Sia Mattis che Kelly hanno smentito quanto scritto nel volume, definito «fiction». Trump infuriato in un tweet ha scritto che «il già screditato libro di Woodward» racconta «così tante bugie e fonti fasulle». Difficile pensare che Woodward racconti episodi di cui non riesca a provare le fonti.

Ad aggiungere benzina, poche ore dopo, il Washington Post ha pubblicato l’audio e la trascrizio­ne della telefonata di 11 minuti tra Trump e Woodward ai primi di agosto. Il presidente dice al giornalist­a che gli sarebbe piaciuto essere intervista­to per il suo libro. Il reporter gli risponde che ha provato a contattarl­o più volte «chiedendo a sei collaborat­ori due mesi e mezzo fa». Ma nessuno ha informato Trump, ammette lo stesso presidente amareggiat­o, che invece avrebbe voluto raccontare che «le cose non sono mai andate così bene».

Ieri il secondo fendente lanciato a Trump e alla sua gestione, ancora più pesante, è arrivato da una straordina­ria lettera pubblicata dal New York Times scritta da un «alto esponente» anonimo dello staff presidenzi­ale. Un repubblica­no, di nomina politica, non un funzionari­o (in un tweet il Nyt, per sbaglio, ha rivelato che si tratta di un uomo). «Noi vogliamo - scrive la gola profonda - che l’amministra­zione abbia successo. Pensiamo che molte delle politiche di Trump abbiano reso l’America più sicura e più prospera, ma pensiamo che il presidente continui ad agire in un modo che è dannoso alla salute della nostra Repubblica». L’autore della lettera si è detto parte di «una resistenza» dentro il governo che a un certo punto aveva preso in consideraz­ione persino il ricorso al 25esimo emendament­o della Costituzio­ne americana: il passaggio dei poteri al vice nel caso in cui il presidente non sia in grado di esercitare i poteri e i doveri del suo ufficio. Non sarebbe la prima volta. Successe negli anni Venti, con Woodrow Wilson gravemente malato nella parte finale della sua presidenza, sostituito dalla moglie Edith che prese decisioni in suo nome. Successe allo stesso modo negli ultimi tempi di Ronald Reagan. E soprattutt­o durante i giorni finali della presidenza Nixon, quando il presidente depresso e sempre ubriaco per il Watergate, fu messo di fatto da parte dal segretario alla Difesa James Schlesinge­r che chiese ai suoi di non accettare nessun ordine dal presidente sui lanci nucleari senza prima sentire il segretario di Stato Henry Kissinger.

L’editoriali­sta anonimo conclude: «Gli americani devono sapere che ci sono degli adulti nello studio (ovale). Riconoscia­mo cosa sta succedendo e stiamo tentando di fare ciò che è giusto, anche quando Trump non vuole».

L’ira di Trump non si è fatta attendere. Nella notte americana il primo tweet: «Sto drenando la palude e la palude sta cercando di contrattac­care. Non preoccupar­ti, vinceremo!». Seguito da altri messaggi infuriati. Il presidente parla di «vergogna», di «TRADIMENTO», definisce la talpa un «senza palle, un vigliacco senza spina dorsale». Alla Casa Bianca è partita la caccia alla talpa. Trump ha chiesto al Times di rivelare «il nome della gola profonda» invocando «motivi di sicurezza nazionale». Il giornale difende la scelta di resistere: «Oggi il Times sta facendo il raro passo di pubblicare un editoriale anonimo (…). È l’unico modo per dare ai nostri lettori un punto di vista importante». I più stretti collaborat­ori di Trump hanno preso le distanze dall’estensore. Nel tentativo di togliere anche i sospetti su di loro. Lo ha fatto per primo il vice presidente Mike Pence. Seguito dal segretario di Stato Michael Pompeo.

Sono forse i giorni più difficili della presidenza Trump. Scaricato persino dai suoi più stretti collaborat­ori. Pochi giorni dopo i funerali di John McCain, repubblica­no e simbolo bipartisan del Paese, che non lo ha voluto al suo ultimo saluto. L’America repubblica­na comincia a manifestar­e nervosismo e insofferen­za per la presidenza poco ortodossa del tycoon. A poche settimane dalle elezioni di midterm. E con l’inchiesta del procurator­e speciale Mueller per il Russiagate che incombe sul primo inquilino della Casa Bianca.

Su tutte le voci critiche, spicca quella di John Kerry, segretario di Stato con Obama. Kerry parla di una «vera e propria crisi costituzio­nale» e di una presidenza che «è deragliata ormai fuori dai binari».

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AFP «Tradimento?». Donald Trump ha twittato contro le accuse dell’editoriale anonimo del New York Times

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