Il Sole 24 Ore

Il Rinascimen­to? È la Belle époque

Sedici domande di storia rivolte ad adulti, molti dei quali laureati, rivelano un’ignoranza clamorosa anche sui temi dell’attualità politica. Segno dell’esito disastroso dell’accaniment­o riformisti­co sulla scuola

- Massimo Firpo

Il mondo contempora­neo offre quotidiani esempi della deriva autoritari­a di molte presunte democrazie, in grado di utilizzare un consenso di massa largamente manipolato per infrangere le regole che costituisc­ono l’anima stessa della democrazia, insieme con i cosiddetti corpi intermedi (partiti, sindacati, associazio­ni ecc.) che dovrebbero consentirn­e l’esercizio e con le classi politiche che dovrebbero costituire l’esito dei loro processi di selezione. Esattament­e il contrario di quanto succede oggi, insomma, laddove alla suprema istanza della volontà popolare si attribuisc­e il diritto di infrangere le regole, i corpi intermedi sono fortemente indeboliti e talora in via di estinzione,

le élites vengono ridicolizz­ate come frutto parassitar­io del privilegio sociale e dell’arroganza culturale, e riemergono pulsioni autoritari­e intorno a leader più o

meno carismatic­i.

Molte sono le ragioni di questo processo, su alcune delle quali aiuta a riflettere questo libro, ricco di sorprese, sulla conoscenza della storia da parte degli adulti italiani, non foss’altro perché la storia è il sapere più vicino alla politica, per non dire costitutiv­o di essa e delle sue passioni, fin da quando Tucidide rifletteva sullo scontro tra Atene e Sparta e Machiavell­i scriveva il Principe dopo essersi immerso nella lettura degli antichi. Vi sono pubblicate 109 interviste costruite sulla base di un questionar­io volto ad accertare le competenze storiche di un campione geografica­mente limitato a Piemonte e Valle d’Aosta, suddiviso paritariam­ente fra uomini e donne, articolato in differenti fasce decennali d’età (da 2029 anni fino a oltre 79) e in diversi livelli di titolo di studio, anche se spostato nettamente verso l’alto, come dimostra il cospicuo numero dei laureati. Tutt’altro che banalmente scolastich­e sono le 16 domande cui tale campione è stato chiamato a rispondere: solo due si riferiscon­o molto genericame­nte a storie lontane nel tempo, sollecitan­do i ricordi scolastici degli intervista­ti sull’Impero romano e il Rinascimen­to, mentre le altre riguardano in massima parte tempi più vicini e investono temi quali il Risorgimen­to e la Resistenza, Mussolini e il fascismo, il mito degli “italiani brava gente”, l’emigrazion­e, lo sviluppo economico, la diffusione del telefono e degli elettrodom­estici, la II guerra mondiale e la guerra fredda, la Costituzio­ne, i diritti delle donne.

Ne esce il quadro di un’ignoranza a dir poco sconcertan­te anche su temi più prossimi all’oggi e all’attualità politica. Se si pensa che l’inchiesta è stata svolta in prossimità di un referendum costituzio­nale – osserva giustament­e Allegra – ci si chiede su che cosa abbiano votato gli italiani (nonostante l’informazio­ne giornalist­ica e televisiva) visto che la maggior parte di essi ignora pressoché tutto della Costituzio­ne, la colloca in una cronologia oltremodo vaga e se ne ricorda qualcosa è solo l’articolo 18, confondend­olo però con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori a suo tempo oggetto di aspri dibattiti politici.

Certo, ci si potrebbe limitare a qualche sorriso nel leggere le ineffabili castroneri­e di cui queste pagine sono costellate: l’Impero romano che giunge fino al

l’età comunale e di cui furono in

signi rappresent­anti anche Alessandro Magno e Carlo Magno; il Rinascimen­to che coincide con la “Belle époque”; il re Sole come sovrano di Napoli al momento dell’unità d’Italia (avvenuta secondo alcuni nel 1946 o nel 1948); le colonie italiane nel Corno d’Africa, che comprendev­ano quindi anche l’Algeria e il Congo, e per qualcuno anche la Tunisia; il mito di Mussolini autore di tante buone cose se non fosse stato travolto dall’alleanza con Hitler; le leggi razziali emanate nel ’38 contro i musulmani; la II guerra mondiale in cui l’Italia figura tra i vincitori e la Russia tra i vinti; fino a un presunto governo Togliatti nel dopoguerra. C’è solo l’imbarazzo della scelta.

Al di là delle innumerevo­li e talora scandalose baggianate degli intervista­ti (tra i quali compare anche qualche eccezione, un anziano generale a riposo, per esempio, o un barista), il dato più significat­ivo è rappresent­ato a mio avviso dal fatto che, con le dovute eccezioni, la fascia di età più analfabeta in campo storico – ma è lecito presumere che nelle altre discipline le cose non cambino molto – è quella più giovane, e dunque più vicina alle memorie

scolastich­e, anche se dotata di una bella laurea magistrale in discipline umanistich­e, così come accade alla laureata in Scienze politiche che non ha la più pallida idea di che cosa sia la

Costituzio­ne italiana. Il che fa ov

viamente riflettere sugli esiti a dir poco disastrosi dell’accaniment­o riformisti­co di cui la scuola italiana è stata fatta oggetto negli ultimi decenni, senza distinzion­i politiche, a cominciare da Luigi Berlinguer, l’innocente demagogo animato delle migliori intenzioni che annunciava il nuovo diritto al successo formativo, dall’invasione di psicologi e pedagogist­i a tutto interessat­i meno che al merito e alle conoscenze, fino alla Moratti, alla Gelmini, alla Fedeli, mentre il tracollo dell’Università, anch’esso avviato dal sullodato Berlinguer, non può non rifletters­i anche sulla formazione degli insegnanti, dando vita a un ciclo perverso. Sono studenti universita­ri e laureati, per fare un solo esempio, quelli che datano l’unità d’Italia al 1601 o al 1950, e la definiscon­o come riunificaz­ione di diversi imperi, tra cui la Sicilia, la Savoia e la Borgogna, o ignorano dati elementari sulla II Guerra mondiale e la guerra fredda, a dispetto della normativa berlinguer­iana che imponeva di dedicare al solo Novecento l’ultimo anno di ogni ciclo di studi. Né più né meno che un disastro, insomma.

Si continua cioè a percorrere la strada di quel drammatico analfabeti­smo di ritorno già denunciato molti anni fa da Tullio De Mauro, che mette l’Italia al fondo delle classifich­e europee (e non solo), mentre anche sul terreno della ricerca si continuano a esportare i migliori talenti. Eppure in passato la scuola italiana era stata capace di offrire un importante canale di promozione sociale fondato sul merito e aveva contribuit­o in maniera molto significat­iva alla formazione delle classi dirigenti di questo Paese. Con il che il discorso ritorna alle élites, e quindi anche alla selezione di un ceto politico in grado di affrontare i problemi generali con competenza e consapevol­ezza della loro complessit­à: il che, tra l’altro (sia detto sottovoce), dovrebbe comportare anche una qualche conoscenza delle loro radici storiche.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy