Laureate, social e innovatrici: sempre più donne scelgono il lavoro del pastore
Con il gregge per scelta. Sono sempre più numerose, dalle Alpi alla Barbagia: sono laureate, usano i social e le chat e soprattutto hanno innovato l’intera filiera
Fiabesche, ancestrali, mitiche, telluriche. Pastore, pastoresse, pastorelle. Abitano le “terre alte”: i pascoli delle Alpi e le vallate dell’Aspromonte, ma anche le foreste costiere. Mantengono e migliorano la forma del paesaggio, la biodiversità e le razze in estinzione, in Valchiusella come sugli altipiani di Arcinazzo, fra le montagne del Pollino come nella Barbagia sarda. Sono donne informate e integrate. Per scelta, nuove interpreti, nei gesti, nelle prassi, nei ritmi della cultura agro-silvi-pastorale.
Guardando il Monte Rosa
Materne con il gregge, che non pascolano ma “passeggiano”: capre, pecore e talvolta scrofe. Più istintive per natura durante il parto e l’allattamento degli animali. «Mangia!», grida preoccupata Maria Pia alle sue pecore più svogliate, mentre con zaino e bastone attraversa i pascoli che guardano il Monte Rosa. Cin- anni, ex operaia tessile, originaria di Coggiola, nel biellese, qualche anno fa è scappata con le pecore. I figli, lì per lì, se la sono presa, ma poi hanno capito.
Da sempre la pastora è figura mitologica, legata al gregge e agli altipiani: affronta le transumanze a cavallo, cammina per valli e scarpate, resiste ai lupi. È stata nomade, ma oggi si muove tra tradizione e modernità: munge, chatta (se serve), si laurea e produce bio.
Il coraggio di Agitu
Spesso le è richiesto più coraggio del necessario: Agitu Ideo Gudeta, nota nelle montagne trentine come la “Regina delle capre felici” ha denunciato giorni fa le aggressioni e le minacce di morte che riceveva da tempo dal suo vicino. L’Italia ha reagito con indignazione manifestandole grande solidarietà. Giovanissima ha lasciato Addis Abeba, dove lottava con i suoi genitori contro il land grabbing, lo sfruttamento dei terreni da parte delle multinazionali. Ha studiato Sociologia a Roma, ora vive nella Valle del Fèrsi- na e fa la “malgara”. La sua è una storia di riscatto e integrazione.
Pastorizia femminile
Anna Kauber, regista, scrittrice e paesaggista è partita da Parma, dove vive, alla guida della sua Panda gialla, per raccontare le donne della pastorizia. Un tour di due anni, da Nord a Sud, 17mila chilometri. Ha raccolto più di cento storie inedite di giovanissime e di ultracentenarie. Un’esperienza che è diventata conoscenza approfondita nei tempi lunghi della quotidianità e nell’intimità di una stalla, di una casa, di una tavola con pane e formaggio o davanti all’immensità della montagna. Il pascolo giornaliero e stagionale, la nascita degli agnelli, la tosatura e la mungitura, la macellazione e la lavorazione della carne e del formaggio, fino al mercato e alla vendita.
In questo mondo: al cinema
Le sue storie ora sono un film: immagini, parole, gesti e silenzi compongono un’opera unica - nelle sale a dicembre - su 18 donne che rapquantasette presentano un mondo solo apparentemente arcaico e lontanissimo. «Con le loro solide conoscenze, sia teoriche che scientifiche, sui processi lavorativi e di trasformazione, le nuove pastore sono capaci di elaborare originali strategie di innovazione e, conseguentemente, nuove economie in tutte le fasi della filiera – spiega Anna Kauber – quella del latte e della carne. Ma anche della trasformazione della lana, ripensata come risorsa». “In questo mondo”, prodotto da Solares Fondazione delle Arti, ha nel montaggio il tocco sapiente e poetico di Esmeralda Calabria.
Nuovi canti rusticani
Il suono del violino di Caterina si diffonde tra le Dolomiti. Laureata al conservatorio ha lasciato la musica per un gregge a Cortina d’Ampezzo. Ogni tanto si interrompe e a voce alta chiama Selvaggia, Ninna, Sofia, Fortuna, Neve, Birba, amatissime pecore e capre. E i suoi cani Amelia, Clara, Sanni, i vitelli Lui e Lei e l’asino Mena. «Per ognuno un richiamo diverso, musicale. Che si unisce al rumore del pascolo, allo scalpiccio delle zampe, al vento e alle montagne», racconta la regista, che ripercorrendo l’esperienza ancora si emoziona.
Maria, sul Pollino, le pecore le ha ereditate dal padre. In famiglia nessuno ha condiviso la sua scelta. Per farla ancora più estrema ha deciso di non usare smartphone né e-mail. Rivendica con orgoglio la sua idea di libertà nella natura e per la natura. Ha preso il treno per la prima volta a 40 anni, per un invito a un convegno dell’università di Foggia sull’attività pastorale.
Rossella, invece, si arrampica sulle pareti scoscese dell’Aspromonte, raccoglie frutti ed erbe spontanee. Vive ad Africo (alle porte di Reggio Calabria) e anche lei è una pastora. È il volto nuovo e femminile di un mestiere arcaico, ereditato da greci e bizantini: accompagna al pascolo il suo gregge di capre inoltrandosi nei terreni impervi del Parco calabrese. Al rientro le richiama emettendo suoni che somigliano a un nuovo canto rusticano.