Tensioni commerciali, schiarita solo dopo il voto Usa di mid-term
Bremmer: non credo al contagio negli Emergenti nonostante le tensioni
Ormai appare evaporata la possibilità di un allentamento delle tensioni commerciali internazionali almeno fino a fine anno. È il giudizio diffuso tra gli esperti dopo un inizio settembre piuttosto scoraggiante.
Ieri è arrivato in un dato che suona quasi come una beffa per un Donald Trump che venerdì era tornato a minacciare dazi su altri 267 miliardi di import dalla Cina – ossia tutto il commercio cinese con gli Usa -, oltre a quelli esistenti su 50 miliardi di import che dovrebbero salire a 200 miliardi tra pochi giorni: il surplus commerciale cinese in agosto verso gli States ha raggiunto un nuovo record a 31,05 miliardi di dollari, da poco più di 28 miliardi a luglio (nei primi otto mesi, +15%). Mentre l’avvio concreto delle sanzioni per il momento non frena gli squilibri dell’interscambio, si nota che, poiché il surplus totale cinese risulta in agosto a 27,91 miliardi, Pechino sarebbe in deficit se si escludesse il commercio con gli Stati Uniti.
«Ormai è praticamente impossibile che prima delle elezioni di midterm possa arrivare una schiarita sul fronte commerciale – osserva Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group – Trump non è ora in condizioni di raccogliere i segnali distensivi che gli arrivano dalla Cina, dalla rinuncia del presidente Xi Jinping ad andare a Pyongyang alla riduzione di acquisti di petrolio dall’Iran».
Secondo Bremmer, solo verso fine anno si potrebbe profilare qualche forma di accomodamento. Trump non dovrebbe invece spingersi oltre nell’attaccare altri fronti commerciali, in particolare quello europeo: «Mentre i consiglieri che lo circondano sono tutti irritati con la Cina – afferma Bremmer - , sono in molti a non desiderare uno scontro contemporaneo con l’Europa e neanche con Canada o Giappone. Non credo quindi che il settore automobilistico diventi il focus di più aspre tensioni commerciali». Il rischio di un autunno sfavorevole per il passo della crescita economica globale e per i mercati è amplificato dalle turbolenze valutarie su alcuni mercati emergenti e dalla volatilità con tendenza al rialzo delle quotazioni petrolifere.
Bremmer appare comunque relativamente ottimista: «Non credo a una grande dinamica di contagio sui mercati emergenti. I Paesi che mostrano più problemi sono quelli peggio amministrati: da una Turchia dove l’indipendenza della banca centrale è parsa compromessa a una Argentina dove il peso del debito viene da lontano e il passo delle riforme è stato per lungo tempo troppo lento, fino a un’India dove la corruzione scoraggia l’imprenditorialità».
Il fondatore di Eurasia non è invece ottimista su saggezza e capacità dei governi occidentali, compreso quello italiano.
Quanto al mercato petrolifero, Fatih Birol, direttore dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, avverte che almeno fino a fine anno pare destinato a un ulteriore irrigidimento, tra una domanda che resta «molto robusta» e una serie di problemi dal lato dell’offerta. «A meno che i produttori-chiave non aumentino la produzione, i prezzi restano in una parabola ascendente – afferma Birol – . Basti pensare solo a quanto è crollata la produzione in Venezuela, più che dimezzata in soli due anni e in predicato di calare ancora: mai era successa una cosa simile nella storia. E altre problematiche riguardano invece produttori importanti come l’Iran, la Libia e la Nigeria».