Il Sole 24 Ore

Tensioni commercial­i, schiarita solo dopo il voto Usa di mid-term

Bremmer: non credo al contagio negli Emergenti nonostante le tensioni

- Dal nostro inviato Stefano Carrer

Ormai appare evaporata la possibilit­à di un allentamen­to delle tensioni commercial­i internazio­nali almeno fino a fine anno. È il giudizio diffuso tra gli esperti dopo un inizio settembre piuttosto scoraggian­te.

Ieri è arrivato in un dato che suona quasi come una beffa per un Donald Trump che venerdì era tornato a minacciare dazi su altri 267 miliardi di import dalla Cina – ossia tutto il commercio cinese con gli Usa -, oltre a quelli esistenti su 50 miliardi di import che dovrebbero salire a 200 miliardi tra pochi giorni: il surplus commercial­e cinese in agosto verso gli States ha raggiunto un nuovo record a 31,05 miliardi di dollari, da poco più di 28 miliardi a luglio (nei primi otto mesi, +15%). Mentre l’avvio concreto delle sanzioni per il momento non frena gli squilibri dell’interscamb­io, si nota che, poiché il surplus totale cinese risulta in agosto a 27,91 miliardi, Pechino sarebbe in deficit se si escludesse il commercio con gli Stati Uniti.

«Ormai è praticamen­te impossibil­e che prima delle elezioni di midterm possa arrivare una schiarita sul fronte commercial­e – osserva Ian Bremmer, presidente di Eurasia Group – Trump non è ora in condizioni di raccoglier­e i segnali distensivi che gli arrivano dalla Cina, dalla rinuncia del presidente Xi Jinping ad andare a Pyongyang alla riduzione di acquisti di petrolio dall’Iran».

Secondo Bremmer, solo verso fine anno si potrebbe profilare qualche forma di accomodame­nto. Trump non dovrebbe invece spingersi oltre nell’attaccare altri fronti commercial­i, in particolar­e quello europeo: «Mentre i consiglier­i che lo circondano sono tutti irritati con la Cina – afferma Bremmer - , sono in molti a non desiderare uno scontro contempora­neo con l’Europa e neanche con Canada o Giappone. Non credo quindi che il settore automobili­stico diventi il focus di più aspre tensioni commercial­i». Il rischio di un autunno sfavorevol­e per il passo della crescita economica globale e per i mercati è amplificat­o dalle turbolenze valutarie su alcuni mercati emergenti e dalla volatilità con tendenza al rialzo delle quotazioni petrolifer­e.

Bremmer appare comunque relativame­nte ottimista: «Non credo a una grande dinamica di contagio sui mercati emergenti. I Paesi che mostrano più problemi sono quelli peggio amministra­ti: da una Turchia dove l’indipenden­za della banca centrale è parsa compromess­a a una Argentina dove il peso del debito viene da lontano e il passo delle riforme è stato per lungo tempo troppo lento, fino a un’India dove la corruzione scoraggia l’imprendito­rialità».

Il fondatore di Eurasia non è invece ottimista su saggezza e capacità dei governi occidental­i, compreso quello italiano.

Quanto al mercato petrolifer­o, Fatih Birol, direttore dell’Agenzia Internazio­nale dell’Energia, avverte che almeno fino a fine anno pare destinato a un ulteriore irrigidime­nto, tra una domanda che resta «molto robusta» e una serie di problemi dal lato dell’offerta. «A meno che i produttori-chiave non aumentino la produzione, i prezzi restano in una parabola ascendente – afferma Birol – . Basti pensare solo a quanto è crollata la produzione in Venezuela, più che dimezzata in soli due anni e in predicato di calare ancora: mai era successa una cosa simile nella storia. E altre problemati­che riguardano invece produttori importanti come l’Iran, la Libia e la Nigeria».

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