Il ministro: i privati nella gestione dei beni sottratti alla mafia
Il progetto trova subito una sponda importante in Federmanager
Nella gestione dei beni confiscati e sequestrati alla criminalità organizzata entreranno manager privati, e questa apertura sarà uno dei punti chiave del decreto sicurezza in arrivo. Annunciando la misura ieri mattina nel suo intervento al Forum Ambrosetti di Cernobbio, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha anticipato «le critiche che arriveranno da alcune associazioni in nome della gestione tutta pubblica, ma io vado avanti». Il punto sollevato da Salvini sono i tempi lunghi nei passaggi operativi dei beni che escono dal controllo criminale, con ritardi che mettono a rischio la vita stessa delle aziende. Le conseguenze sono la perdita di occupazione e, sostiene Salvini, «il rischio che passi il messaggio che con la criminalità almeno c’era il lavoro» che lo Stato non riesce a garantire.
Nel ragionamento di Salvini non c’è un’accusa all’Agenzia nazionale che amministra i beni confiscati, anzi il titolare del Viminale rivendica di aver «appena triplicato l’organico, da 80 a 240 persone». Ma la sfida resta impari sul piano dei numeri, perché l’agenzia ha in carico oggi 2.996 imprese e 17.882 immobili, un patrimonio che secondo Salvini «non può essere gestito efficacemente da 240 dipendenti pubblici». Oltre che nei numeri il problema è nelle competenze, e nasce da qui l’idea di affidare questi beni alle mani di manager privati, con l’obiettivo di evitare il rischio di cadute e fallimenti nelle aziende alle prese con la fase del passaggio.
Il progetto trova una sponda importante in Federmanager, l’associazione dei dirigenti d’azienda che per bocca del suo presidente Stefano Cuzzilla chiede ora un incontro a Salvini per affinare il meccanismo. «Abbiamo posto il tema all’attenzione da tempo - spiega Cuzzilla al Sole 24 Ore - anche perché ci sono arrivate spesso segnalazioni da parte dei dirigenti e dei dipendenti di queste aziende, preoccupati per la sorte del loro lavoro». Il confronto tecnico, insomma, è partito da tempo, e l’associazione ha già messo in campo programmi di formazione su misura del problema, articolati su quattro filoni: innovazione, manager di rete, temporary manager ed export manager. La formazione si conclude con una certificazione terza sulle competenze, e sono già quasi 300 (in crescita) i profili certificati che possono diventare il nucleo di un “albo” di manager in cui l’Agenzia potrà scegliere i gestori. «La formazione - spiega il presidente di Federmanager - deve essere specifica perché spesso queste aziende hanno vinto appalti o sviluppato business per le relazioni dei loro vecchi proprietari, e occorre saper misurare quanta competitività vera c’è nell’impresa e come svilupparla nella nuova situazione». Strategico è anche il fattore tempo, perché «spesso ci sono aziende che hanno valore ma rischiano di incagliarsi se non prendono decisioni immediate su come riprogettarsi sul mercato», aggiunge Cuzzilla. E in quest’ottica l’elenco dei “manager certificati” può offrire uno strumento pronto all’uso.