Case, conti, spese: i big data fiscali così difficili da incrociare
La casa in cui abitiamo. Le spese che sosteniamo per ristrutturarla. O gli interessi del mutuo per acquistarla o rimodernarla. I contributi alle colf. Ma anche le spese per l’acquisto di farmaci o prestazioni sanitarie. Senza dimenticare redditi, pensioni o compensi percepiti. E ancora i rapporti finanziari: con i dati di sintesi (non quindi il dettaglio su tutte le movimentazioni) su saldo a inizio e fine anno, giacenza media e totale operazioni in entrata o in uscita sui nostri conti correnti. Messa in questo modo, i (tanti) dati che il Fisco conosce già di noi sembrerebbero suffragare l’ipotesi che siamo già in una sorta di «Grande fratello». Eppure non è così. Per tutta una serie di ragioni: dai paletti messi nel tempo dal Garante a tutela della privacy alle finalità diverse di raccolta, dalla qualità dei dati acquisiti (su cui molto si è dibattuto) alla necessità di creare applicativi specifici che facciano “girare” e comunicare il patrimonio informativo per singoli segmenti di analisi.
I numeri sono in tutto e per tutto quelli dei big data. Basti pensare che per assemblare le dichiarazioni precompilate 2018 (20 milioni di modelli 730 e 10 milioni di modelli Redditi) sono arrivati dai sostituti d’imposta e dagli altri soggetti obbligati 925 milioni di dati tra redditi e spese che danno diritto a detrazioni d’imposta o deduzioni dal reddito. Un numero che cresce di anno in anno, in considerazione delle nuove categorie di voci per implementare l’operazione (nell’ultima tornata è toccato alle rette degli asili nido e alle donazioni alle Onlus, anche se in quest’ultimo caso l’invio è ancora sperimentale e quindi facoltativo). Senza considerare le informazioni già acquisite negli archivi catastali come quelli relativi agli immobili di proprietà.
Con la precompilata, nonostante le difficoltà iniziali con i problemi di dati carenti, incompleti o errati, si è fatto uno sforzo di mettere a sistema i flussi trasmessi, chiedendo quindi a diretti interessati di sobbarcarsi un costo infrastrutturale e di adempimento. Una messa a sistema che serve sia per offrire un servizio (appunto la dichiarazione dei redditi) sia per i controlli della Superanagrafe dei conti correnti, il cui utilizzo è stato più volte sollecitato dalla Corte dei conti. Dopo il primo passo compiuto con il provvedimento di fine agosto, ora il piano degli indicatori dell’Agenzia punta a completare entro il 2019 la sperimentazione avviata per l’analisi di rischio nei confronti di persone fisiche e società.
L’amministrazione ad oggi dispone, di fatto, di miliardi di dati relativi ai contribuenti, dalle proprietà immobiliari ai movimenti finanziari, di conto corrente, ai dati doganali fino ad arrivare alle più semplici spese correnti.Se non c’è ancora un «Grande fratello» fiscale - o quantomeno se non è ancora tale in termini operativi - è solo perchè le decine di banche dati sedimentatesi nel tempo non sono tra loro “interoperative”, cioè non riescono a scambiarsi informazioni poiché parlando linguaggi informatici diversi, quasi sempre incompatibili (in dipendenza del periodo di progettazione e dei fornitori di volta in volta selezionati). Inoltre non sempre i dati caricati sono scevri di errori o mancano di adeguato aggiornamento. Questo determina, ancora oggi, in larga parte l’impossibilità di una gestione “intelligente” e automatica dei dati, in sostanza la messa a sistema dei big data fiscali indirizzati attraverso programmi di intelligenza artificiale. Perchè in ogni caso restano sempre valide le conclusioni della relazione della Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, datate dicembre 2012: «Il contrasto all'evasione/elusione fiscale richiede la massima circolarità delle informazioni fra i diversi enti che a vario titolo intervengono nei processi correlati». Sei anni dopo, un obiettivo ancora fuori portata.
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