Il Sole 24 Ore

IL DIGITALE AL SERVIZIO DI UNA SOCIETÀ RICONFIGUR­ATA

- Luca De Biase

Un lungo periodo di fanatismo tecnologic­o che ha condotto tanti a ritenere che ogni novità digitale fosse destinata a migliorare il mondo è stato seguito da una fase ipernegati­va nella quale il digitale ha cominciato ad essere associato a ogni problema: dalla crisi dell’informazio­ne alla crisi della democrazia, passando per una serie di crisi che hanno coinvolto molti settori economici tradiziona­li. Ora è tempo di ricostruir­e un discorso di prospettiv­a, non ideologico, capace di valorizzar­e le opportunit­à e ridurre i rischi.

«Il digitale che si è configurat­o nel mondo attuale - dice Evgeny Morozov, lo storico della relazione tra tecnologia e società che ha contribuit­o a diffondere un senso critico nei confronti del digitale - non è la causa, ma la conseguenz­a dei problemi della nostra società». E certamente non sarà un diverso digitale a causare il loro superament­o. Ma un diverso progetto di società. Intervenen­do ai festival di Mantova e Camogli, Morozov ha parlato della necessità di ripensare il progetto di società a partire dai temi della cittadinan­za: per Morozov, nella narrazione attuale, il cittadino che era persona degna di diritti è stato trasformat­o in un fruitore di servizi che ottiene in cambio del pagamento delle tasse. Una riconfigur­azione del concetto di cittadinan­za può partire dal contesto della politica cittadina, sostiene Morozov che con Francesca Bria, assessore all’Innovazion­e a Barcellona, ha scritto “Ripensare la smart city” (Codice 2018). Se si progetta la società in base al diritto delle persone alla casa, al lavoro, all’accesso alla conoscenza, per esempio, la tecnologia può essere un grande accelerato­re di fenomeni: e sarà progettata in modo da garantire alla città la sovranità digitale. A Barcellona, i dati sono intesi come bene comune, le piattaform­e sono tecnologie al servizio dell’accelerazi­one innovativa locale, l’ecosistema è incentivat­o a lavorare con strumenti aperti, e così via. Inoltre, Barcellona lavora alla costruzion­e di una rete di città che si aiutano e scambiano soluzioni.

È un punto di vista. Ma ha il vantaggio di testimonia­re che di fronte alla critica del digitale centralizz­ato in poche grandi piattaform­e americane non basta il lamento: una strategia alternativ­a esiste e si può tentare. Internet era nata come architettu­ra aperta e distribuit­a. Il web favoriva lo scambio di conoscenze ed era pensato nel quadro dei beni comuni. La privatizza­zione e la concentraz­ione delle risorse in poche mani che è emersa recentemen­te sulla rete è solo una delle forme che questo ambiente può assumere. Ma perché le tendenze di fondo cambino, perché si riducano gli abusi e i rischi socio-economici, occorrono alternativ­e. Tentare vie alternativ­e è una necessità per qualunque civiltà in questa fase storica. Cinesi e russi, coreani e indiani, hanno le loro strategie in proposito. Gli europei sembrano meno attrezzati. La grande progettual­ità che si sintetizza con il nome di “Industria 4.0” può essere un inizio di strategia: i robot e le macchine della produzione devono pur parlare tra loro e con gli umani e la gestione della conoscenza, con il software che ne consegue, necessaria a farli funzionare può essere la premessa di una tecnologia europea. Che si unisce alla policy a favore della concorrenz­a, della privacy, dellequità fiscale, portata avanti da Bruxelles. Ma occorre che a tutto questo si unisca una grande consapevol­ezza.

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