Il nostro collaboratore
Nel capolavoro di Don DeLillo, Underworld, un personaggio riflette sul celebre quadro Giochi di bambini di Bruegel il Vecchio: lo trova sinistro, «non molto diverso dall’altro famoso Bruegel, con le armate della morte che marciano su tutto il territorio». Il paragone, in apparenza un po’ ardito, trova compimento nel nuovo magnifico romanzo di Andrés Barba.
Il narratore di Repubblica luminosa dirige il dipartimento degli Affari sociali di San Cristóbal, città ai bordi di una selvaggia foresta tropicale: la routine viene interrotta dall’arrivo di trentadue bambini fra i nove e i tredici anni. Non c’è ragione che spieghi la loro comparsa, né il fatto che si muovano senza adulti o capi, né la lingua incomprensibile che sembrano parlare: vivono per strada allegri, inafferrabili e ineducabili. Tra la fine del 1994 e l’inizio del 1995 commettono una serie di furti, scippi e devastazioni gratuite; e soprattutto diventano motivo d’ansia per il fascino che esercitano sui bambini del posto.
Intanto gli adulti perdono tempo accusandosiavicendadinonessere“intervenuti” per tempo — ma in che modo? Comesirisolveunproblemadelgenere? Ladomandaaleggiaminacciosasututto il romanzo, mentre gli eventi precipitano: i bambini assaltano un centro commerciale sfasciando ciò che trovano e uccidendo due persone. A questo punto gli abitanti si organizzano per lanciare una vera e propria caccia, in un crescendo di retorica populista e sensi di colpa.
Il narratore, colpito dall’idioma alternativo dei trentadue, lo usa come metafora dei fatti: «per quanta paura avessimo di loro pur non osando ammetterlo, quei bambini avevano già cominciato a cambiare i nomi a tutto». Ovvero a sovvertire l’insieme delle norme sociali, facendovi riaffiorare un elemento primitivo di terrore e libertà. Certo la banda di fanciulli ha qualcosa di spaventoso; ma non meno spaventose sono le conclusioni forcaiole cui sembrano giungere i genitori preoccu- pati. E di fronte alla burocrazia impastoiata e auto-indulgente degli adulti fa riflettere la democrazia paritaria che vige fra i trentadue, o il fatto che costruiscano una propria straordinaria città sotto la comunissima San Cristóbal, sfruttando uno spazio del condotto fognario: un luogo di oggetti in vetro che rifrangono i raggi solari — la “repubblica luminosa” del bellissimo titolo. Per la morale non c’è spazio, in questa vita infantile fatta di piacere vagabondo e curiosità: ma a ciò corrisponde un progressivo ottenebramento della facoltà etica degli adulti e del narratore in primo luogo, che si spinge a torturare un bambino catturato per fargli confessare l’ubicazione della “repubblica”.
Il libro è interessante anche da un punto di vista tecnico: finge di essere una testimonianza pacata e razionale; attinge ad articoli, saggi e trasmissioni televisive finzionali ma plausibili; sfrutta una prosa semplice e garbata. E proprio grazie a tale iperrealismo, esso irradia un’intensa inquietudine di contrasto. Non c’è una concessione aperta al sovrannaturale per spiegare i fatti, ma un’ombra di sovrannaturale permane sempre fra le pagine: forse l’innominabile violenza del sacro, che torna ad abbattersi in un luogo e in un momento qualunque.
Leggendo questo splendido romanzo viene d’istinto pensare al Signore delle mosche; ma a me ha ricordato soprattutto certi momenti di Stephen King. Come King, Repubblica luminosa rivendica la diversità radicale fra il mondo dei bambini e quello degli adulti: e più ancora sconvolge qualsiasi mito di innocenza infantile, restituendo a quell’età i drammi dell’inganno, della rabbia e della seduzione.
Giorgio Fontana,
vincitore del premio Scrivere per amore 2017 promosso dal Club di Giulietta con
Fondazione Pordenonelegge.it - sarà al festival
sabato 22 settembre (ore 15,30, palazzo Montereale Mantica) per presentare «Un solo paradiso» in dialogo con Marco Ongaro. Andrés
Barba, con Alessandro Zaccuri ,presenterà invece «Repubblica luminosa» domenica 23 settembre, in dialogo (ore 15,
Palazzo Montereale
Mantica). www.pordenonele gge.it, dal 19 al 23
settembre